Le signore del vino. Storia di Chiara Lungarotti, l’imprenditrice del vino con l’Umbria nel cuore

Le signore del vino. Storia di Chiara Lungarotti, l’imprenditrice del vino con l’Umbria nel cuore

di Roberto Luongo

 Una vita dedicata alla cantina che è passione, storia, tradizione e famiglia

Come può un vino entrare nel mito? Innanzitutto, gli serve una storia forte, una di quelle che si raccontano come le favole. Poi, ovviamente, deve essere in grado di fare grandi cose, molte di più di quelle promesse. Infine, serve un personaggio fuori dall’ordinario, dalla vita incredibile e dalla personalità forte.

La rivoluzione del vino non è solo cosa da uomini. Lontani i tempi in cui era considerato esclusivamente appannaggio maschile, la metà “in rosa” dell’universo ha saputo ritagliarsi uno spazio sempre più importante, contribuendo a cambiare il corso della storia nel settore enologico. Parliamone con le “signore del vino” che meglio hanno saputo caratterizzare il successo dell’imprenditoria al femminile. Un racconto a più voci, a tu per tu, quello delle donne più influenti del vino in Italia che conducono e rappresentano l’eccellenza nel mondo, tra esperienze di vita passata e progetti futuri. Chiara Lungarotti di Cantine Lungarotti racconta a Egoista Magazine.

Imprenditrice di successo e grandi passioni. Chiara, la sua vita si divide tra l’amore per la sua terra, il suo lavoro e la sua famiglia. Come si svolge la sua giornata tipo?

Sveglia la mattina presto, il tempo per leggere il giornale e scaricare la posta al volo, ed è già ora di svegliare mio figlio, fare colazione insieme e fare un po’ di strada con lui verso la scuola a piedi. Andando in azienda mi fermo a fare la spesa, perché voglio scegliere personalmente tutto ciò che i miei cari mangiano ogni giorno. La giornata prosegue con una visita veloce in cantina, poi a seguire gli incontri con i collaboratori più stretti, dal commerciale all’amministrazione. Di solito, salvo impegni di lavoro, preferisco rientrare a casa per pranzare con la mia famiglia. Il pomeriggio in genere è riservato alle vigne, e poi all’ufficio dove resto fino alle 19 circa. La serata prosegue in famiglia, con la cena e la lettura di un bel libro insieme a mio figlio prima che si addormenti. Tutto questo naturalmente quando non sono in giro per l’Italia o per il mondo a promuovere i nostri vini, cosa che capita piuttosto frequentemente!

Sono cresciuta in azienda tra le vigne, dove mio padre mi portava sin da piccola. Ricordo che mi costringeva a camminare scalza perché voleva che imparassi a “sentire” la terra sotto i piedi. Dopo il liceo classico mi sono iscritta ad agraria ed ho iniziato a lavorare in azienda quando avevo 21 anni. Mi sono poi laureata con una tesi in viticoltura, la mia grande passione! È stato duro convincere un uomo di grande esperienza ma di una certa età come mio padre a introdurre le tante innovazioni in campagna apportate in quel periodo. Da quando ci ha lasciato nel 1999, la nostra è un’azienda al femminile. Sono amministratore delegato delle aziende che fanno capo alla nostra famiglia, mia sorella Teresa si occupa di comunicazione e marketing e infine nostra madre Maria Grazia dirige la Fondazione Lungarotti, che gestisce il Museo del Vino ed il Museo dell’Olivo e dell’Olio a Torgiano.

Com’è stata accolta la donna imprenditrice Chiara Lungarotti da un settore guidato soprattutto da uomini?

Ricordo che all’inizio eravamo due donne a sedere nel Consiglio di Federvini, una proveniente dal mondo degli spiriti e l’altra da quello del vino, ed ero l’unica a sedere in Cda di Unione Italiana Vini. In entrambi i casi ero la più giovane e ho avuto modo di apprendere molto dall’esperienza di tutti gli altri consiglieri. In questi ultimi anni le cose stanno cambiando, e oggi molte altre bravissime donne occupano posizioni di rilievo che un tempo erano prevalentemente “al maschile”, sia in azienda che negli organismi rappresentativi del settore.

Parliamo di quote rosa. Le donne rappresentano una realtà ormai più che consolidata nella produzione e nella promozione del vino, cosa ne pensa?

Penso che un’ottima preparazione al pari della serietà e della passione con cui si affronta la propria professione siano fondamentali per il successo, indipendentemente dal genere di appartenenza.

Pensa che ci siano ancora resistenze, pregiudizi o discriminazioni?

Per la mia esperienza posso affermare che questi atteggiamenti appartengono al passato. Per fortuna.

Quali ritiene essere le qualità femminili più importanti per emergere in questo settore? E che valore aggiunto dà una donna al mondo del vino?

La cura del dettaglio e la capacità di essere multitasking sono doti naturali per noi donne, e sono quelle che ci consentono di seguire contemporaneamente tutti gli aspetti della vita aziendale, dalla produzione alla comunicazione. Nel mio caso prevale la cura del dettaglio, quasi maniacale, al pari della determinazione.

Tre aggettivi che definiscono speciale la “donna del vino” contemporanea.

Preparata, internazionale, visionaria.

La comunicazione attraverso il vino cambia grazie ad una voce femminile?

Il vino è l’espressione più profonda di un territorio, della sua storia e delle sue tradizioni e questo va comunicato sempre, al femminile ma anche al maschile.

Com’è cambiato, e sta cambiando, il modo di fare comunicazione? Crede nelle opportunità offerte dal web e dai digital media?

I nuovi mezzi di comunicazione sono fantastici per comunicare con la massima trasparenza tutto ciò che facciamo in vigna e in cantina. Per questo in azienda abbiamo una squadra giovane, dinamica e smart che se ne occupa. Diverso è il discorso su piano personale: tengo alla mia privacy e quindi preferisco non utilizzare Facebook o Instagram.

Che cos’è per lei il vino?

Il vino per me è passione, storia, tradizione, famiglia… è la mia vita!

Come immagina il futuro produttivo e commerciale della sua azienda?

Immagino una crescita che si consolida anno dopo anno, non solo sul mercato nazionale ma anche nel mondo.

Oggi si parla molto di eco-sostenibilità, biodiversità ed impatto della vitivinicoltura sul territorio. Qual è il suo pensiero in proposito all’impegno verso l’ambiente?

Ritengo di vitale importanza operare in modo sostenibile in campagna perché dobbiamo fare la nostra parte per preservare il più possibile l’ambiente da cui dipende il futuro nostro e quello dei nostri figli. In Lungarotti portiamo avanti una viticoltura sostenibile da oltre vent’anni. Abbiamo cinque capannine meteo nei nostri vigneti di Torgiano, che ci consentono di entrare in vigna solo se strettamente necessario, mentre la tenuta di Montefalco è in regime biologico dal 2010. Ridurre gli sprechi è un diktat quotidiano, in tutte le nostre attività. La nuova sfida però è lavorare nella direzione di un residuo zero, sia nel prodotto che nell’ambiente circostante.

Oltre alla passione per il vino, c’è però anche quella per…?

Per il giardino – guai a chi tocca le mie rose e le mie ortensie – per la montagna, sia d’inverno che d’estate, e per i viaggi con mio figlio: adoro portarlo in giro per l’Italia e per l’Europa per fargli conoscere la nostra storia e le nostre radici. Solo un solido background gli darà la capacità di affrontare le incredibili – e per noi immaginabili – sfide che dovrà affrontare la sua generazione.

Con chi, tra le donne della storia, della cultura o della scienza, del passato o attuali, sceglierebbe di degustare un calice di vino e perché?

Con Ipazia, perché la libertà di pensiero è una delle più grandi conquiste della nostra società e va difesa a tutti i costi. Ma anche con Maria Montessori: grazie al suo metodo sin dalla scuola elementare, ho imparato a impegnarmi per vincere le piccole e grandi sfide quotidiane che incontro. Berrei un calice di vino anche con Santa Scolastica: nell’ombra del fratello creò l’ordine delle benedettine che, con la massima ora et labora, ha nei secoli contribuito a non far disperdere un patrimonio di conoscenze e di tradizioni oggi a rischio. Infine con tutte le grandi donne del passato che, rimaste sole, hanno preso in mano l’azienda della propria famiglia, facendola crescere e prosperare con grande beneficio per tutti coloro che vi lavoravano e per il proprio territorio di origine.

Per finire, un consiglio alle “donne del vino” di domani.

Saper sempre portare avanti il difficile equilibrio tra la propria passione – nel mio caso il mio lavoro di produttrice a tutto tondo – e la famiglia.

Alberto Colamonaci apre a Roma Nord il suo Private Restaurant

Alberto Colamonaci apre a Roma Nord il suo Private Restaurant

Sergio Ferroni

Alberto Colamonici, proviene da una famiglia aristocratica napoletana, dopo 30 anni trascorsi da gioielliere a New York, decide di abbandonare oro e gemme per seguire la sua grande passione: l’arte della cucina.

Nato a Napoli dove la famiglia fonda la prima gioielleria della città nel 1871, Alberto inizia fin da bambino a coltivare la passione per il lusso e l’eleganza tra monili e pietre preziose. Dopo un’esperienza trentennale nell’arte della  gioielleria e del design trasferisce tutto il suo sapere in una nuova e appassionante avventura, dedicarsi a tempo pieno alla ristorazione di qualità. Formatosi nelle scuole di Gualtiero Marchesi e Angelo Trojani inaugura il suo primo Home Restaurant in Via Margutta, nota come la “Via degli Artisti” fondendo così l’arte della cucina con il lusso delle bellissima strada famosa in tutto il mondo. Dopo circa due anni si sposta nel cuore pulsante della capitale, nel quartiere che piu romano non si può, Trastevere.  In questa nuova location trasteverina Alberto Colamonici, sempre coadiuvato da Rita Cascioli, sua compagna in cucina e nella vita, sviluppa il concetto di convivialità, mettendo la cucina al centro della sala dando cosi la possibilità di dialogare con i commensali intervenuti servendo loro  le sue specialita` della tradizione italiana, con una particolare attenzione alla gastronomia napoletana e alle ricette di famiglia.  E’ qui che appare tutta la sua trentennale esperienza come designer di gioielli,  mostrando così nelle sue pietanze una composizione ed una cura decorativa di quanto preparato da cui si intuisce che tutto ciò è il frutto di un progetto creativo dove sia i colori che la composizione  sono in perfetto equilibrio esaltando la vista e i sapori. Soprannominato “Lo Chef Salottiere” dal responsabile dei ricevimenti di Palazzo Chigi, grazie alla sue esperienza trentennale tra gemme e monili cura i suoi piatti come fossero gioielli.  Veniamo ora alla sua ultima avventura, aprire un nuovo Private Restaurant immerso nel verde in via Due Ponti tra la Cassia e la Flaminia.  Alberto si impegna così in questa nuova location restaurando un casale di campagna con tavoli sul prato da cui si può godere di una vista mozzafiato sull’area verde di Roma Nord con tramonti spettacolari, il tutto condito da una atmosfera intima e di grande piacevolezza con un sottofondo musicale soft, e particolarmente gradevole.

Bacaromi all’Hilton Molino Stucky Venice riapre le sue porte con tante novità

Bacaromi all’Hilton Molino Stucky Venice riapre le sue porte con tante novità

Riapre il ristorante Bacaromi dell’Hilton Molino Stucky Venice, un ristorante tipico che trae ispirazione da un bacaro veneziano dove assaporare i piatti rivisitati della cucina tradizionale veneziana con vista spettacolare sul canale della Giudecca. La tradizione della Serenissima è al centro di Bacaromi, luogo amato e frequentato principalmente da veneziani, oltre che da viaggiatori e turisti in cerca di esperienze locali.  La selezione attenta delle materie prime e dei prodotti di prima scelta esaltano il “sàor” dell’arte culinaria veneziana. Il menù di Bacaromi, curato dall’Executive Chef Luca Nania, prevede l’abbinamento di una vasta scelta di vini in calice (ómbre o bianchéti) con piccoli cibi e spuntini (cichéti) rivisitati in chiave contemporanea. Non solo – novità di quest’anno – sarà la ricca Grigliata mista di carne insieme ad una variegata scelta di preparazioni più complesse come il Risotto mantecato con secole, o altri piatti fortemente legati alla tradizione culinaria veneziana. Inoltre, l’offerta si è allargata anche con la Frittura di pesce misto con fantasia di verdure, il Trancio del pescatore al forno con pomodorini e olive taggiasche. Il tutto accompagnato da una ricca carta dei vini, birra artigianale e una sfiziosa selezione di dolci fatti in casa. Durante la stagione estiva, gli ospiti potranno godere della magnifica terrazza esterna del locale, che si affaccia direttamente sul Canale della Giudecca e reso ancora più incantevole dei magici colori del tramonto.  L’atmosfera che si respira non appena varcata la soglia di Bacaromi è accogliente e inclusiva. L’arredamento con materiali rustici ma al tempo stesso ricercati e il pavimento di mosaico di piastrelle colorate sono stati studiati per garantire agli ospiti del ristorante un’esperienza conviviale ed evocativa, con un sapore rigorosamente veneziano. L’atmosfera è resa calda anche da un’illuminazione avvolgente con lampade pendenti ispirate ai manufatti artigianali antichi, l’una diversa dall’altra, mentre i pilastri in ghisa così come le pareti con mattoni a vista ricordano il glorioso passato industriale del Molino.

“Siamo lieti di accogliere nuovamente i tanti clienti affezionati di Bacaromi e i turisti in visita a Venezia” – ha dichiarato Massimiliano Perversi, Direttore Generale dell’Hilton Molino Stucky – “Il legame con il territorio e le sue tradizioni è alla base del nostro lavoro”.

l’ Executive Chef Luca Nania

 

Sulià House Porto Rotondo, Curio Collection by Hilton presenta Claudio Melis alla guida del Pasigà Restaurant

Sulià House Porto Rotondo, Curio Collection by Hilton presenta Claudio Melis alla guida del Pasigà Restaurant

Foto Cover:  Claudio Melis

Apre il nuovo Pasigà Restaurant by Claudio Melis, innovativo ristorante del Sulià House Porto Rotondo, Curio Collection by Hilton, boutique hotel che gode di una posizione privilegiata con vista panoramica sul Golfo di Cugnana.  Di origini sarde, lo chef stellato Claudio Melis, famoso per il suo In Viaggio Claudio Melis Ristorante di Bolzano e per l´Esemdemi Food District, torna alle sue origini con un concetto di ristorazione che combina heritage e innovazione, la ricca storia culinaria sarda con un tocco fresco e innovativo.  Pasigà Restaurant by Claudio Melis propone una cucina bistronomica, ed è il primo ristorante etico-sostenibile della Costa Smeralda e uno dei pochi in tutta la regione. La tradizionale cucina dell’Isola viene reinterpretata in chiave innovativa, esplorando nuove suggestioni gustative e dando ampio spazio alla creatività. In questa nuova veste si intende guidare l’ospite nella ricerca dell’anima dell’isola attraverso un’esperienza gustativa. Una visione dello chef che dà vita ad una cucina “circolare”, attraverso pochi piatti creati con ingredienti locali selezionatissimi e di qualità. Il design raffinato e accogliente del ristorante, giocato su colori tenui e materiali innovativi, crea un’atmosfera “friendly”, giovanile e conviviale per mettere l’ospite costantemente a proprio agio.  È qui che Claudio Melis ritrova la sua terra e si lascia ispirare dal suo mare, dai gesti, dalla dedizione del suo popolo, dai ricordi e dall’immaginazione per creare una proposta culinaria sospesa tra tradizione e innovazione.  La proposta gastronomica si declina in modi e contenuti diversi a seconda dell’ora del giorno. La giornata inizia con la prima colazione, buffet o a’ la carte, sia in versione dolce che salata con una ricca selezione di salumi e formaggi del territorio.  Si prosegue con Il momento del Lunch, in chiave bistrò, con un menù creato sulla base di piatti tipici sardi rivisitati dalla creatività dello chef come il Pistoccu con pomodorini, ricotta e palamita e i Lorighittas con vongole di Olbia, limone e bottarga.  Con il passare delle ore l’offerta gastronomica si declina al pool bar, per degustare a bordo piscina insalate e sandwich estivi. L’aperitivo e la cena al tramonto sono un momento magico per assaporare la nuova proposta dello chef e per entrare in contatto con tutto ciò che la Sardegna ha da regalare. Sulla meravigliosa terrazza con vista sul tramonto del Mar Mediterraneo ecco aperitivi dai nomi evocativi: Fuoco, Acqua, Aria, Terra, Metallo, Legno, Sole e Anima.  E infine la cena, con i prodotti del mare e della terra, che troviamo nel Muggine affumicato con piselli e rafano, o nella Quaglia in due cotture con carota e yogurt kefir, nei Ravioli di casa mia con pecorino fresco e foglie di acetosella, nella Triglia di scoglio con finocchio e bieta o nell’Agnello nostrano con frutta e foglie.  A completare il tutto una carta dei vini pensata in Sardegna e per la Sardegna, con i vitigni autoctoni, le fermentazioni spontanee e una tradizione tutta sarda del buon bere tra natura e benessere.  Claudio Melis, muove i suoi primi passi nella ristorazione nella sua Sardegna, frequentando la Scuola Alberghiera di Sassari e diplomandosi col massimo dei voti. Da qui, una lunga e ricca carriera in giro per il mondo partendo dal ristorante di Gualtiero Marchesi e specializzandosi sempre di più. Nel 2010, lo chef si trasferisce in Arabia Saudita e affina la sua esperienza nella ristorazione e in ambito manageriale. Dopo cinque anni torna in Italia, a Bolzano a capo del ristorante In Viaggio e da vita al progetto imprenditoriale Esemdemì-Desire to Illuminate.

Le Petit Chef Experience in prima fila per l’Italia all’Aleph Rome Hotel

Le Petit Chef Experience in prima fila per l’Italia all’Aleph Rome Hotel

L’Aleph Rome Hotel, Curio Collection by Hilton, elegante proprietà nel cuore di Roma a pochi passi dalle leggendarie Piazza di Spagna, Fontana di Trevi e Villa Borghese presenta in anteprima assoluta per l’Italia una nuova entusiasmante esperienza di entertainment: Le Petit Chef.

Nella suggestiva cornice del Ristorante 1930 dell’albergo andrà infatti in scena un innovativo spettacolo multisensoriale, che coinvolge l’ospite a tutto tondo, con immagini, suoni e sapori e che vede come protagonista il più “piccolo” chef del mondo.  I tavoli del ristorante sono il palcoscenico di questo spettacolo immersivo, creato nel 2015 dal collettivo artistico Skullmapping.  Con l’utilizzo della tecnica del videomapping e della realtà aumentata gli ospiti vedranno svolgersi davanti ai loro occhi le avventure del piccolo chef, che in una proiezione avvincente e entusiasmante attraversa mille avventure e si cimenta a preparare i piatti delle sue ricette tra mille imprevisti e buffe disavventure. Grazie a questa tecnica di proiezione 3D il tavolo si trasforma in un display dinamico sul quale si visualizzano le mille storie del nostro piccolissimo personaggio. Una volta ultimata la proiezione si passa dall’esperienza virtuale a quella sensoriale; i camerieri serviranno ai commensali il medesimo piatto che Le Petit Chef ha preparato nel cartoon, che sarà uguale a quello virtuale. Il tutto si ripete per il numero delle portate previste dal menu. L’esperienza, che gode già di un grande successo in Europa e in oriente approda finalmente per la prima volta in Italia all’Aleph Rome Hotel, e sarà disponibile a partire dal 28 Aprile 2022, dal giovedì alla domenica.  Le Petit Chef si cimenterà nella preparazione di menu differenti, che potranno essere scelti dagli ospiti:  “Le Grand Chef” e “Le Petit Chef classic”, due menù da cinque portate che comprendono portate sia di carne che di pesce, “Le Petit Chef Vegetarian”, anch’esso con cinque portate e immancabile il menù dedicato ai più piccoli “Junior Chef”, con pietanze pensate per i loro gusti.  Una proposta variegata, pensata per una serata da trascorrere in allegria in famiglia o con gli amici, nell’elegante cornice dell’Aleph Rome Hotel.

I MENU:

LE GRAND CHEF – EUR 150.00 a persona

– Burrata di Andria con crumble salato gelatina al pomodoro, datterini rossi, gialli confit e misticanza

– Zuppetta di molluschi e crostacei con il suo guazzetto e patate

– Risotto con astice, caviale Oscietra, crema di salicornia e lime

– Filetto di manzo al punto rosa con variazione di ortaggi, verdure e salsa al vino rosso

– Sformatino al cioccolato fondente con gelato alla vaniglia

LE PETIT CHEF CLASSIC – EUR 110.00 a persona

– Burrata di Andria con crumble salato gelatina al pomodoro, datterini rossi, gialli confit e misticanza

– Zuppetta di molluschi e crostacei con il suo guazzetto e patate

– Ravioloni ripieni di ricotta e agrumi con salsa all’astice

– Saltinbocca alla romana con salsa alla salvia e verdure grigliate

– Sformatino al cioccolato fondente con gelato alla vaniglia

LE PETIT CHEF VEGETARIAN – EUR 85.00 a persona

– Burrata di Andria con crumble salato gelatina al pomodoro, datterini rossi, gialli confit e misticanza

– Zuppa di pomodoro e sfoglie di pane croccante ai semi misti

– Gnocchi di patate in salsa tartufata e Parmigiano Reggiano

– Millefoglie di melanzane e scamorza

– Sformatino al cioccolato fondente con gelato alla vaniglia

JUNIOR CHEF – EUR 55.00 a persona

– Caprese di mozzarella di bufala e basilico

– Zuppa di pomodoro e sfoglie di pane croccante

– Gnocchi di patate in salsa tartufata e Parmigiano Reggiano

– Pollo grigliato con patate al rosmarino

– Sformatino al cioccolato fondente con gelato alla vaniglia

 

Pensato, nato e cresciuto per volere di Mario Incisa della Rocchetta, Sassicaia è riconoscibile tra migliaia.

Pensato, nato e cresciuto per volere di Mario Incisa della Rocchetta, Sassicaia è riconoscibile tra migliaia.

Venerato in tutto il mondo, la sua storia è importante e, allo stesso tempo, di incredibile leggerezza. Come lui. Prima di raccontare le 7 annate della bella verticale con Gianni Fabrizio al Merano Wine Festival 2017, qualche breve cenno su questa singolarità italo-bordolese sulla soglia dei 50 anni dalla sua nascita. Siamo in Toscana, a Bolgheri, in Maremma, tra Livorno e Grosseto, una zona paludosa dove storicamente non si coltivava la vite. Escludendo piccole vigne in uso per autoconsumo agli stessi contadini, furono da sempre considerati terreni enologicamente inadatti. Qui, la famiglia nobile dei conti palatini Della Gherardesca possedeva circa 4.000 ettari, in buona parte ancora oggi di famiglia. Tenuta San Guido – così si chiama il podere che prende nome da San Guido della Gherardesca vissuto nel XIII secolo – si estende su una superficie complessiva di circa 2.500 ettari, 13 chilometri dal mare fin dietro le colline. Di questi, 90 ettari sono vitati, mentre 77 sono dedicati esclusivamente alla produzione del Sassicaia.

Ma il Sassicaia, non nasce per volere di un toscano, ma – dicevamo appunto – di un piemontese, il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, consorte di Clarice Della Gherardesca. Un buon suggerimento gli giunse negli anni ’20 dai Salviati, che in quella zona avevano coltivato qualcosa, più che altro per proprio piacere. Questo dettaglio fu riportato da Luigi Veronelli perché documentato in una lettera del 11/6/1974. Il marchese gli spiegò: “…l’origine dell’esperimento risale agli anni tra il 1921 e il 1925, quando, studente a Pisa e spesso ospite dei Duchi Salviati a Migliarino, avevo bevuto un vino prodotto da una loro vigna sul monte di Vecchiano che aveva lo stesso inconfondibile bouquet di un vecchio Bordeaux da me appena assaggiato più che bevuto, (perché a 14 anni non mi si permetteva di bere vino) prima del 1915, a casa di mio nonno Chigi”.

Così, subito dopo la seconda guerra mondiale, impiantò cabernet sauvignon e cabernet franc. Le prime vigne andarono a dimora nella parte alta della tenuta, tra 200 e 300 metri. Fu un atto rivoluzionario: piantare vigne a cabernet in Toscana, a Bolgheri tra l’altro, delineava un’allarmante discontinuità con la tradizione.
Ma da quel momento in poi la scalata fu inarrestabile e il marchese ebbe conferma più che mai del valore di Bolgheri che, per terroir e clima, presentava caratteristiche riconducibili alle Graves (in francese ghiaia).
Dal 1948 al 1967, il Sassicaia rimase dominio strettamente privato, fu bevuto solo in casa. Ma ogni anno un po’ di casse venivano lasciate ad affinare nella cantina di Castiglioncello. Straordinariamente, ci si rese conto che con il passare del tempo il vino migliorava molto. Tanto che Pietro Antinori, con il quale era imparentato sempre dal lato della moglie, lo invitò a imbottigliare e commercializzare. Cosa che accadde nel 1968: la produzione totale del primo “bordolese” italiano si attestò sotto le 10.000 bottiglie. Nel 1972 si inserì un giovane (allora poco più che trentenne) e bravo enologo, Giacomo Tachis.

“Non è nato… è diventato Sassicaia”
La consacrazione non tardò ad arrivare. Il primo report internazionale giunse da Hugh Johnson, che negli anni ’70 lo collocherà nelle sue classifiche entro i primi 20 vini al mondo. Poi, nel 1985, il tripudio: 100/centesimi da Robert Parker. Quella etichetta, ancora oggi giovanile, è storia del vino d’Italia.

L’unicità è ravvisabile anche in un proprio disciplinare con tanto di denominazione di origine controllata, la “DOC Bolgheri Sassicaia”. Il Sassicaia è, infatti, il primo e unico vino italiano ad avere dal 1994 una DOC propria, costituendo, di fatto, un Grand Cru Monopole. Succede solo in Francia e per pochi vini celebri. Non è finita qui: l’affinamento, sempre secondo il disciplinare della DOC, è il primo in Italia che prescrive l’uso della barrique per un periodo minimo di 18 mesi (inizialmente di 20).
Già consulente in Sicilia per l’Istituto Regionale della Vite e del Vino, così come lo fu Tachis, Graziana Grassini è dal 2011 l’enologo di Tenuta San Guido. Formalmente è entrata nell’azienda un anno prima, nel 2010.