Tutto sul fenomeno del lusso, la tendenza dell’Estate 2023

Tutto sul fenomeno del lusso, la tendenza dell’Estate 2023

Nella moda, si fa spazio una nuova idea di lusso, che al massimalismo di chiassosi loghi e motivi opulenti, predilige sobrietà e artigianalità

di Julieta Sartori

Quest’anno discrezione, ma con qualcosa in più. L’estetica riduzionista che rifugge lo scintillio farlocco e il glamour glitterato. Il registro espressivo sobrio, pacato, eppure deluxe. Nei Novanta era in, nei 2000 un po’ meno, oggi di nuovo in, rivestito di termine ad hoc: quiet luxury. Il lusso sussurrato, che ai loghi cafoni preferisce i materiali di pregio, e al decorativismo kitsch, la manifattura silenziosa ma di qualità. Un neo-minimalismo fatto di semplicità e linee nette, pochi colori feticcio a comporre la tavolozza: beige, cammello, cipria, e immancabili bianco e nero. Triste? Rigoroso? Niente affatto. Il nuovo lusso è l’epitome assoluta del cool: sono le ballerine elastiche di The Row e le borse intrecciate di Bottega Veneta, le giacche strutturate di Khaite e i cappotti avvolgenti di Max Mara. Insomma è il prodotto che vince sul logo e il codice stilistico sul trend passeggero. Perché se ne torna a parlare? Per l’estrema popolarità di alcune maison, e per un intrigo di moda e pop culture che ha riportato in auge il termine “lusso” come sinonimo di tradizione, artigianalità e robustezza.

Succession, acclamata serie HBO disponibile dal 3 aprile su Sky e Now, c’è una scena che è perfetto esempio di pubblicità al contrario. Una maxi shopper Burberry, stampata nell’iconico motivo check, è balzata in cima alle ricerche degli utenti proprio grazie alla serie americana. L’accessorio è oggetto dell’ironia pungente di Tom Wambsgans (l’attore Matthew Macfadyen) che lo etichetta come “mostruoso, gigantesco”, un portatutto XL con cui “campeggiare”, o in cui, addirittura, “ficcare il bottino dopo una rapina in banca”. Il perché della tagliente battuta è presto detto: la tote bag, dal design immediatamente riconducibile alla casa di moda inglese, è pacchiana, la nota stonata nell’ambiente di lusso discreto dei protagonisti della serie, un oggetto poco chic che identifica immediatamente la sua indossatrice come un’intrusa. In Succession, in effetti, a vincere è proprio il quiet luxury, una sequela di completi, camicie, maglioni e t-shirt assolutamente anonimi, non fosse per i nomi delle etichette che portano: Loro Piana, The Row, Max Mara, Gabriela Hearst e Proenza Schouler. Insomma il Gotha del lusso riservato, che ripudia loghi, branding e, appunto, pattern.

The Row, il brand americano delle sorelle Olsen, è parte integrante del guardaroba da udienza di Gwyneth Paltrow. Se bazzicate i social network (e chi non lo fa), è possibile che vi siate imbattuti nei molteplici meme d’ordinanza che nascono come funghi a corredo dei processi delle star hollywoodiane. Al di là degli occhiali da vista aviator che hanno visto l’attrice paragonata al serial killer Jeffrey Dahmer, ciò che colpisce è la processione modaiola super-stilosa, condotta dalla Paltrow a ritmo di less is more. Per difendersi dall’accusa di aver provocato un incidente sulle piste da sci dello Utah, la super star sfodera in tribunale ensemble sobri ma griffatissimi: un capotto dall’accento military firmato The Row così come la camicia a righe indossata sotto al blazer in velluto doppiopetto, anfibi Prada e Celine, e una carrellata di nuance neutre che più neutre non si può, declinate in completi giacca pantalone o cardigan dai bottoni a contrasto. Un défilé di quiet luxuryuna selezione di basici elevati al rango di super-lusso, pur scevri di fronzoli e orpelli.

Pantaloni con la riga e un tank top bianco, di quelli semplici, a costine fini e spalline sottili, mica chissà che. Agganciata alla spalla, una maxi shopper in cuoio intrecciato bordeaux. Look acqua e sapone e via. L’esempio più calzante per raccontare il quiet luxury, per lo meno quello italiano, è questo qui; l’insieme visto sfilare sulla passerella di Bottega Veneta per la Primavera Estate 2023, quello ingannevole dove tutto pare stoffa eppure (quasi) niente lo è. Matthieu Blazy, alla guida creativa della maison dal 2021, sfrutta lo storico savoir-faire del brand nella pelletteria per dei set che nascondono segreti da rivelare solo al tatto. Nessun ricorso a loghi o monogrammi, solo un gioco illusorio e quanto mai sofisticato. Un’apparente normalità che, sottendendo materiali di pregio e artigianalità, si fa cifra stilistica silenziosa eppure immediatamente riconoscibile.

Le paladine del minimalismo di qualità a stelle e strisce sono, invece, Mary-Kate e Ashley Olsen, le sorelle a capo di The Row, che hanno fatto dell’estetica del grado zero il loro distintivo marchio di fabbrica, guadagnandosi negli anni una platea di adepte accomunate dal rifiuto di ogni forma di orpello e decorazione. Bianchi e neri e poi neri e bianchi. Tagli semplici e un tailoring così perfetto da risultare a tratti monacale. Un sottinteso di alta qualità e una sottrazione radicale che è simbolo di un lusso esagerato seppur nascosto. Una dottrina della riduzione nel nome della quale si confezionano abiti destinati a non soggiacere alle regole dei trend e che rendono The Row, tra i marchi più interessanti del panorama extra-europeo.

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Ma al di là di questi due celebri esempi, sono molti i brand, italiani e non, a poter essere inseriti all’interno del drappello dei “lussuosi con garbo”: i già citati Max MaraLoro PianaGabriela Hearst e Proenza Schouler, ma anche Brioni e Brunello CucinelliJil Sander, Peter Do e Khaite. Marchi che compongono un guardaroba classico nel senso più alto del termine; versatile e desiderabile, anche senza un di più.

Perché “il lusso non dimora nella ricchezza e negli ornamenti, ma nell’assenza di volgarità”, sosteneva l’acuta Coco Chanel. Ecco, sulla ricchezza abbiamo qualche dubbio, perché sarà pure “tranquillo” ma sempre lusso è. E da che mondo e mondo, la qualità si paga e anche a caro prezzo. Forse è meglio l’adagio di Irene Brin che riteneva l’abbondanza augurabile solo a qualcuno: a chi sapesse dissimularla.

LVMH investe su talenti Italiani

LVMH investe su talenti Italiani

 

Per mestieri eccellenza 30.000 nuovi posti entro 2024 nel mondo

Il gruppo del lusso Lvmh investe sui talenti dei mestieri d’eccellenza, tra creatività, artigianato e vendita, annunciando oltre 2.000 assunzioni in Italia entro 3 anni in questi settori, e un piano a livello globale da 8.000 nuovi posti nel 2022 e 30.000 entro il 2024, dopo che nel 2021, sempre a livello mondiale, ne sono stati creati 6.000.

Lo ha detto Chantal Gaemperle, direttrice risorse umane e sinergie del gruppo, parlando oggi a Show Me al Teatro Odeon, organizzato da Lvmh per celebrare il progetto Istituto dei mestieri d’eccellenza, fondato nel 2014 e dal 2017 attivo anche in Italia : 34 programmi di formazione per 27 mestieri e 39 maison partner in 6 paesi del mondo (1400 gli apprendisti dall’anno di fondazione, di cui il 72% donne).

 

Grazie a questo progetto in Italia, dal 2017 ad oggi, sono stati formati 300 apprendisti, e nel 2022 sono attesi 80 nuovi talenti.
    “In Italia come in tutti i nostri paesi culla dei savoir-faire è urgente rendere attraenti i nostri mestieri d’eccellenza.
    Mancheranno quasi 50.000 mila professionisti in Italia nel settore moda e pelletteria, secondo i dati di Altagamma. Sempre in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è del 30%, perciò è urgente far conoscere questi mestieri – ha detto Gaemperle -.
    Dunque il gruppo Lvmh prevede oltre 2000 nuove assunzioni in Italia entro 3 anni in questi campi”. Ma il progetto riguarda tutto il mondo: il gruppo, che ha investito 4 milioni di euro in formazione nel 2020, prevede 8000 assunzioni nel 2022 e 30.000 entro il 2024 nel mondo. “Malgrado la crisi abbiamo mantenuto gli impegni, quest’anno è stato un anno record in cui abbiamo accolto 300 apprendisti nel mondo – ha continuato – ma non ci fermeremo qui, continueremo ad investire. Infatti abbiamo creato una carta per l’impegno nei mestieri di eccellenza”. Si tratta del patto We for me (Worldwide engagements for metiers d’excellence) firmato dalle 75 maison del gruppo per il lancio di una serie di iniziative, tra cui il programma Excellent, al via da quest’anno in Francia e implementato in Italia dal 2022, per sensibilizzare i più giovani e spingerli a scegliere questi mestieri. Ma anche il programma Les Virtuoses Lvmh il cui scopo è individuare i più meritevoli nella propria disciplina (finora sono stati identificati 67 talenti, di cui 17 in Italia).
    Soltanto in Italia il gruppo conta 6000 collaboratori che svolgono queste professioni di savoir-faire, divisi fra 7 Maison, 246 boutique, 30 siti di produzione locali e una rete di 5000 fornitori e appaltatori, per un totale di 100.000 persone che lavorano indirettamente su questo territorio. Tra i siti di produzione c’è anche la nuova Fendi Factory, uno stabilimento da 13.000 mq a Bagno a Ripoli, che aprirà a settembre 2022.

Valentino è tornato a Roma come negli anni ‘90

Valentino è tornato a Roma come negli anni ‘90

Lo show fashion di Valentino riporta l’alta moda sulle scale di Piazza di Spagna con uno show spettacolare ed emotivo.

di Franco Gualtieri

«La donna Valentino!». Il frame, che in questi giorni è rimbalzato ovunque sui social, viene da Donna sotto le stelle, un programma che nel 1992 andava in onda su Rai1 e che, pur con lo stile roboante della tv di quegli anni, dal 1986 dava uno spazio in prima serata alle collezioni di alta moda, cosa mai più successa nella tv italiana. Dal 1993, con il passaggio su Canale5, Donna sotto le stelle si aprirà anche al prêt-à-porter, fino alla definitiva chiusura nel 2003. I video sgranati di quelle serate, e le sfilate che si sono svolte sulla scalinata di Trinità dei Monti in Piazza di Spagna, nel centro turistico di Roma, sono piccoli grandi vezzi per gli appassionati, ricordi registrati di un’epoca che in molti non abbiamo vissuto, ma che abbiamo visto passare in replica sulle nostre tv.

 

 

 

   Tra il partere di Donna sotto le stelle – o meglio, dietro le transenne – c’era anche Pierpaolo Piccioli, quando ancora era uno studente e quando ancora l’idea che un giorno potesse trovarsi alla guida di Valentino era solo nella sua testa. Invece in quel marchio Piccioli ci passerà ventitré anni della sua vita, gli ultimi sei dei quali alla direzione creativa, anni in cui ha riscritto moltissime volte il significato di Valentino: prima nella sua testa, appunto, e poi nell’immaginario collettivo. Così venerdì 8 luglio Valentino, le storie che si porta dietro e quelle che vuole ancora raccontare, è tornato a sfilare su quella scalinata mitologica, con uno show che ha riportato la moda in una città che di moda è anche vissuta, ma che sembra essersene dimenticata. I 102 look che si sono succeduti con studiata lentezza, accompagnati dalla voce limpida di Labrinth, sulla lunghissima passerella naturale che è Roma, erano il compendio di quello che Valentino è per Piccioli, ma anche un po’ per chiunque abbia reclamato un pezzo di questo marchio storico. C’era infatti il rosso, c’erano il bianco e il nero, c’erano le cappe fluide e i lampi fluo distribuiti su gonne, giacche e soprabiti, c’era il Pink della collezione Autunno Inverno 2022, c’erano modelle di tutte le taglie e provenienza, c’erano le tante forme che la moda di Piccioli può prendere: abito fluido che abbraccia il corpo, copricapo di piume che ingigantisce la silhouette, maschera glitterata che confonde i connotati.

La “donna Valentino”, nel 2022, è molto diversa da quella che nel 1992 vedevamo passare sulle nostre tv, ma anche da molta couture che abbiamo visto in questi giorni. Se infatti un buon numero di marchi di alta moda, per motivi che hanno molto a che fare con l’economia post Covid, hanno cementificato il loro immaginario conservatore (basta pensare a Chanel), Pierpaolo Piccioli continua invece a mantenere Valentino in perenne tensione, nella costante ricerca della bellezza e delle sue molteplici forme. Si tratta di abiti per loro natura elitari, certo, come ha dimostrato la passerella finale di tutto l’atelier: per crearli ci vogliono tante persone e tanto talento, conoscenza, ci vuole infine capacità immaginifica di superare i limiti della tridimensionalità, visto che «l’ artigianalità dell’alta moda cita la pratica artistica, anche senza volersi identificare con essa», come ha scritto Piccioli nella lettera che accompagnava le note dello show. Ma sono anche abiti che, da Trinità dei Monti all’atelier di Piazza Mignanelli, possono regalare un momento di bellezza per tutti, compresi gli studenti che erano presenti alla sfilata e che Piccioli ha voluto apposta portare al di qua delle transenne. Perché chissà cosa c’è nelle loro, di teste.

Domenico Dolce e Stefano Gabbana

Domenico Dolce e Stefano Gabbana

di Giuseppe De Pietro

at their home in milano, 2001

Domenico Dolce e Stefano Gabbana: “Scontriamo continuamente, amichevolmente, sulle nostre idee” Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono stati scelti come famiglia di lavoratori 35 anni fa. Insieme, tra alti e bassi, hanno costruito uno storico impero tessile basato sulle loro radici e tradizioni. Abbiamo parlato con loro e abbiamo ritratto la modella Marta Ortiz interpretando le icone della maison italiana per le strade di Madrid. Sembra ieri che io e Domenico abbiamo iniziato. I primi anni sono stati devastanti, in ufficio sette giorni su sette, non uno libero. Abbiamo condiviso un obiettivo e l’entusiasmo che da sempre mettiamo nel nostro lavoro e che ci ha portato qui”, racconta Stefano Gabbana (Milano, 1962) guardando indietro [perché, sì, c’è ancora spazio per qualche festa in questo 2020] i suoi 35 anni d’amore creativo con l’anima gemella Domenico Dolce (Palermo, 1958).

La metà migliore del suo lavoro, un rapporto professionale –come ce ne sono stati pochi nella moda– che rimane forte e più sano che mai, nonostante i tanti disaccordi che, come ogni coppia, hanno dovuto affrontare. La sua storia è nota a tutti: un giorno del 1981 Domenico riesce a rispondere alla chiamata di Stefano chiedendo un lavoro come assistente nello studio del designer Giorgio Correggiari. È entrato, ovviamente. E quattro anni dopo stavano mettendo in scena il loro primo spettacolo come Dolce & Gabbana con una Milano nel suo periodo di massimo splendore come sfondo, assetata di nuove idee. Domenico ha ereditato il gusto per la sartoria dalla sua famiglia e Stefano, che aveva studiato grafica, ha completato il suo mestiere. Un ripieno perfetto non esente da discussioni che, si dice, sono quelle che alla fine portano ai migliori progetti: “Ci piace discutere!”, scherza Stefano. “Ci confrontiamo continuamente, amichevolmente, sulle nostre idee. A me piacciono alcune cose, a lui piacciono altre”. Come nelle migliori famiglie, vai. E il suo non sarebbe stato inferiore. “Ma l’importante è trovare sempre un equilibrio, una soluzione che ci renda felici entrambi. Durante il confinamento abbiamo discusso molto. È normale avere opinioni diverse! Siamo due facce della stessa medaglia”, dice Domenico.

Cosa c’è di più allegro e spensierato delle luminarie in una sera d’estate? Parte da qui, dalle mille luci colorate di una festa italiana, la collezione ‘Light therapy’ di Dolce e Gabbana, che sfila a Milano dopo due edizioni digitali. Ed è una festa, per gli stilisti, tornare a proporre le loro creazioni su una passerella tutta scintillante proprio di luminarie, per dare “un messaggio di allegria e spensieratezza in uscita – raccontano – da questo lungo tormentone”. Ed è un invito a uscire, a divertirsi, anche la collezione per la prossima estate, dove le luci si traducono in ricami di cristalli coloratissimi, che formano ancora motivi di luminarie sugli smoking, i jeans, i blazer, i bomber, i pull e i pantaloni.
Quando stavano disegnando la collezione, un trionfo di broccati, gessati, pizzi, paillettes e pennellate di colore – raccontano gli stilisti – hanno pensato che il lavoro di oggi ricordava loro quello del 2000, quando in opposizione ad anni di minimalismo proposero “una collezione donna massimalista che ebbe un gran successo”.
E ora, per quei giovani nati dopo l’anno 2000, Dolce e Gabbana tornano a proporre “quel momento di ricchezza, apertura ed edonismo” che aveva David Beckham come pioniere e icona dell’edonismo maschile. Allora “si andava nei locali, si usciva, si viveva fuori” ed è l’invito che fanno ai giovani ora: “volevamo far uscire la gente dai social” raccontano, spiegando che “quel che rimarrà del covid è l’isolamento sociale, che porta alla depressione, perché non si ha il coraggio di affrontare la vita, con le sue emozioni”. Il messaggio è: aprirsi! e lo dicono chiaramente le camicie che lasciano vedere il busto “non da playboy, ma proprio con quell’idea lì: apriti, affronta la vita, divertiti”. 

In questo c’è anche il ritorno alla sensualità: “c’è molto testosterone – ammettono – ed è una cosa normale”. E se negli anni 2000, citati nelle T-shirt bianche con la scritta ‘2000 fashion moment’, l’idolo era David Beckham, ora i modelli sono i giocatori della nazionale di calcio azzurra: “belli, giovani e aitanti”. E soprattutto italiani, perché la collezione non è solo “un inno alla vita, all’aggregazione” ma anche all’Italia. Ed ecco le tute sportive tricolore, i completi canottiera e shorts in raso di seta sempre nei toni della bandiera, portati con tanto di corona. A indossare le nuove creazioni, 95 ragazzi, “l’80% italiani e multietnici, uno con la corona è di colore e – raccontano – è italianissimo, è una bella generazione”. Sono giovani che hanno la fluidità nel dna, “non hanno barriere come noi, hanno un modo diverso di essere sicuri di sé, noi abbiamo troppi preconcetti nel giudicare, loro non pensano invece a giustificarsi”. Se per i ragazzi mettersi lo smalto è assolutamente normale, la cronaca racconta che c’è ancora chi viene bullizzato e picchiato per questa scelta.
“Rimaniamo sbigottiti – commentano gli stilisti – che succedano ancora queste cose, l’intolleranza purtroppo è ovunque, noi facevamo queste cose già nel ’94 e all’epoca abbiamo ricevuto insulti e censure per una campagna con un ragazzo con lo smalto”. Ora quei ragazzi fluidi e senza preconcetti sono ovunque, ed è per loro questa collezione, con cui Dolce e Gabbana festeggiano il ritorno live perché “una sfilata digitale è come uno spaghetto congelato e la moda è emozione e condivisione, un modo per stare e – concludono – ricominciare insieme”.