Una vita per l’Arte – dipinti di Federico Heidkamp Gonzaga

Una vita per l’Arte – dipinti di Federico Heidkamp Gonzaga

Foto Cover:  Federico Heidkamp Gonzaga

Presentata presso la Sala Italia di UNAR e organizzata da Francesco Ugolini la mostra dell’artista Federico Heidkamp Gonzaga.  Con il patrocinio per gli scambi culturali Argentina-Italia e con l’introduzione di Chiara Anguissola e con l’intervento  S.A.S. Maurizio Ferrante Gonzaga del Vodice.  Domenica 8 Maggio la mostra dell’autore italo-argentino appartenente all’illustrissima stirpe mantovana si è aperta in una piacevole e rilassata atmosfera  stile happening secondo le più recenti tendenze  che permeano  gli ambienti culturali e artistici  internazionali  proponendo nel vasto spazio espositivo prescelto un giocoso  abbinamento di  arte visiva e  di musica con gli intervalli musicali  del M°  concertista d’arpa “SafyraSings in Concerto”.   Federico Heidkamp Gonzaga inizia sin da giovanissimo a scoprire la sua inclinazione per il disegno e la pittura tanto da eseguire, con notevole maestria, il ritratto della sorella, mostrando un’innata sensibilità nel coglierne lo sguardo e la psicologia, doti che trasferirà in seguito su altri ritratti.  La ricerca artistica di Federico è fortemente legata ad un concetto “romantico” della pittura, all’amore per il classico, per il bagaglio culturale che ci viene dall’antichità.   L’amore per la pittura, più che il quadro, è il motore primo dell’attività di Federico Heidkamp Gonzaga, artista che crea immagini, frutto di un grande passione e non semplicemente abilità “da mestiere”.   Figlio della principessa Isabella Gonzaga, Federico nasce a Buenos Aires, Argentina, il 5 luglio del 1969. È proprio in Argentina che inizia a studiare arte e impara il disegno e l’acquerello frequentando l’atelier di Peter Malenchini.  Il giovane artista raggiunge l’Italia nel 1997, dove risiede presso lo zio nella sua abitazione romana per circa due anni. In Italia lavora  inizialmente  nel cinema come  realizzatore di effetti speciali per passare successivamente alla pittura che diventa da allora il suo principale interesse. Entra nella bottega di Antonella Cappuccio, apprezzata pittrice della “nuova maniera italiana”, celebre madre dei fratelli Muccino. Da lei Federico perfeziona la sua tecnica ad olio, ma soprattutto  inizia a realizzare i primi lavori con la sanguigna.  La tecnica rimanda ai famosi cartoni di Leonardo Da Vinci e sono usati dal pittore italo-argentino per realizzare rielaborazioni d’autore e ritratti.   Alla componente artistica derivata da una discendenza importante, i Gonzaga sono infatti tra le famiglie nobili più attente alle arti e alla cultura, si aggiunge poi il legame con la famiglia Anguissola, a cui appartiene una della prime rivoluzionarie esponenti femminili della pittura europea, Sofonisba Anguissola, che rappresentò la pittura rinascimentale al femminile. Una  lunga ed importante tradizione  e un  profondo amore per l’arte muovono  quindi l’autore a dipingere sulle orme dei grandi maestri del rinascimento italiano quali Botticelli, Raffaello, Tiziano, per concludere con Caravaggio. Quest’ultimo è il pittore preferito con il suo esasperato realismo e i suoi chiaroscuri tratti da un’ambientazione che predilige la povertà e le miserie umane in contrasto con i colori accesi di una trionfante Controriforma. A differenza del Caravaggio però, Federico preferisce il trionfo della vita sulla morte e le sue opere spaziano dai vigneti all’esuberanza naturalistica, dai monumenti abbacinati dal sole, agli animali dei quali ha colto momenti ed espressioni significative senza dimenticare la sua terra d’origine con rappresentazioni di rodei, cavalli al pascolo e ricche grigliate.Pittore tendenzialmente tradizionalista pur con qualche sconfinamento nell’informale,  questo poliedrico artista dimostra la propria abilità nel conformarsi alle più recenti tendenze artistiche non disdegnando l’utilizzo di colori estratti dalle sostanze vegetali nonché dal caffè e dal vino con i quali ottiene lusinghieri effetti cromatici di notevole impatto visivo.  Anche i brillanti e colorati acquerelli come quelli inseriti nella rilegatura della  più recente opera letteraria  del principe Maurizio Ferrante Gonzaga “Fiori nel deserto”  rinnovano il segno dell’abilità dell’artista italo-argentino di trovare nel classico un punto di osservazione dell’attualità.

Manuela Lascaris

                      

 

L’Accademia Nazionale di San Luca di Roma presenta il libro “Schifano – Comunque, qualcos’altro 1958-1964” di Giorgia Gastaldon

L’Accademia Nazionale di San Luca di Roma presenta il libro “Schifano – Comunque, qualcos’altro 1958-1964” di Giorgia Gastaldon

Giovedì 5 maggio, si terrà all’Accademia Nazionale di San Luca la presentazione del volume Schifano – Comunque, qualcos’altro 1958-1964, di Giorgia Gastaldon (Silvana Editoriale), un’accurata ricognizione sugli esordi di Mario Schifano.

A parlarne intervengono Claudio Zambianchi, ordinario di Storia dell’Arte Contemporanea presso “Sapienza” Università di Roma e Giorgia Gastaldon, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università degli Studi dell’Aquila e autrice del libro. Introduce e modera l’incontro Claudio Strinati, Segretario Generale Accademia Nazionale di San Luca.

SCHEDA DEL LIBRO: Mario Schifano, risoluto pittore in anni nei quali l’arte italiana prendeva la via della smaterializzazione dell’opera, è un artista per il quale le categorie del personaggio, della leggenda, della biografia – tormentata, esagerata, maledetta – hanno a lungo prevalso sulla considerazione meditata delle opere. Questo libro affronta la sua vicenda pittorica concentrandosi sugli inizi sfolgoranti della sua produzione – dal 1958 al 1964, anno della prima partecipazione alla Biennale di Venezia – e la studia a partire dai più trascurati fondamenti: considerando i documenti dell’epoca; identificando, datando e mettendo in sequenza le sue opere; analizzandone il linguaggio pittorico a confronto con quello degli artisti a lui coevi; e, infine, riconducendolo alla cultura, visiva e non, del suo tempo. Ne è restituito un Mario Schifano meno personaggio e più artista, meno scostante e più rigoroso nelle ricerche, il cui valore sta nella coerenza, nella tempestività e nell’autonomia delle scelte, oltre che nella felicità istintiva della sua pittura.

Note biografiche dell’autrice: Giorgia Gastaldon è dottoressa di ricerca in Storia dell’Arte e docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università degli Studi dell’Aquila. Formatasi all’Università di Udine, è stata borsista post-doc alla Fondazione Ragghianti di Lucca e alla Bibliotheca Hertziana di Roma. Ha collaborato con numerose istituzioni tra cui il Museo del Novecento di Milano, l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, il Museo d’Arte Moderna di Udine, la VAF Stiftung.

Nella lussuosa location di Palazzo Ferrrajoli si fa un salto indietro nel tempo

Nella lussuosa location di Palazzo Ferrrajoli si fa un salto indietro nel tempo

Il marchese Giuseppe Ferrajoli, con la sua rinomata ospitalità apre le porte dei seicenteschi saloni che affacciano su Piazza Montecitorio all’Associazione Castellum che vede riunirsi attorno al proprio presidente nazionale  Fabio Piagnatelli, i proprietari  delle dimore storiche che si ergono sul territorio italiano quale segni tangibili del nostro patrimonio artistico e architettonico e della memoria culturale che da sempre  hanno attirato  l’attenzione e l’interesse del resto del mondo. Un evento  mondano  svoltosi  all’insegna dell’eleganza, della raffinatezza e del buon gusto, anche gastronomico,  grazie al buffet sobrio e  gustoso al tempo stesso,  che ha spaziato su un’interessante gamma di sapori tipici italiani, molto in linea con lo stile di un  par-terre  avvezzo al gusto dell’eleganza autentica. Il principe Guglielmo Giovanelli Marconi, nipote dell’ universalmente noto inventore Guglielmo Marconi, e presidente della dipartimento per il Lazio, accompagnato dalla  consorte,  l’amabile principessa Vittoria,  ha annunciato alla platea di ospiti, con vibrante entusiasmo,  il ripristino della sede storica dell’Associazione  nata nel  1964  all’interno di Castel Sant’Angelo. Fra gli invitati confluiti da ogni parte della penisola e non solo, oltre ai notabili rappresentanti dei vari dipartimenti regionali anche il duca Catemario di Quadri, consigliere dell’associazione Amici dei Musei di Roma,  il latinista prof. Sallusto, il marchese Sersale proprietario del  peculiare complesso architettonico di Paliano, la principessa Altieri, e fra  i molti altri ancora S.A.R. Ravivaddhana Monipong  di Cambogia, solo per menzionarne alcuni. L’incontro  mondano tuttavia  è  stato solo uno dei  vari tasselli  che vanno inseriti  in una  più estesa ed  elaborata opera di salvaguardia, rievocazione e divulgazione alla quale il “Consiglio Scientifico Castellum” contribuisce con scrupolo e passione attraverso le diverse figure professionali quali ad esempio il Prof. Fiore, ed i  vari architetti ricercatori  anche in qualità di  membri aggregati dell’associazione. Il decano fra questi ultimi,  l’arch. Gianmaria Labaa  nel tavolo tecnico che ha preceduto l’evento mondano,   esortando  il completamento dell’opera editoriale denominata “Atalante Castellano”, che verrà a  rappresentare una  vera e propria guida  nazionale con la mappatura degli elementi architettonici presenti sul territorio nazionale,  ha fatto notare  che un primo elenco censito  degli edifici fortificati redatto nel 1965 già annoverava 315 elementi! L’immagine che ne è emersa  è stata  quella di una realtà che lungi dall’essere   decadente  o anacronistica,  si muove con competenza ed entusiasmo fra le pieghe di una più ampia  realtà  sociale  come appunto quella attuale così in piena crisi di valori e dunque anche di identità,  e che fuori dalle frivole apparenze si impegna attivamente nella sensibilizzazione anche presso le istituzioni preposte alla salvaguardia e alla tutela del nostro patrimonio artistico nazionale, anche con  il coinvolgimento del mondo accademico come ad esempio  attraverso il conferimento di  premi di Laurea sulle  realtà  architettoniche ivi conferenti i cui estratti verranno poi pubblicati sulla rivista semestrale “Cronache Castellane”. La “Grande Bellezza”   evocata da Paolo  Sorrentino  nell’omonimo film premio Oscar nel 2013,  ha qui mostrato  l’altro lato della medagliaattraverso una diversa chiave di lettura tutta invece  proiettata al futuro. Un grande augurio dunque all’Associazione Castellum per  la nobilissima impresa.

Manuela Lascaris

Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona – Frammenti di Bellezza

Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona – Frammenti di Bellezza

Foto Cover – Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona con il ritratto di Ferdinando d’Aragona

In viaggio dentro le collezioni d’arte e i palazzi storici ristrutturati da Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, che ha recentemente concesso in esposizione un arazzo di Raffaello in mostra fra Palazzo Abatellis, Castello Ursino di Catania e Palma di Montechiaro.

A macchia d’oro, lucente, prezioso. Dilagante in tutto il centro-sud Italia e in Sicilia, in gran parte sconosciuto ai più e con la voglia di essere scoperto per davvero. Il patrimonio d’arte e architettura che Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona accarezza e svela ogni volta e in qualunque luogo e modo sia possibile, è un enorme museo diffuso, ha in Sicilia e a Palermo in particolare uno dei pilastri fondanti e oggi, dopo aver collezionato, con lo splendido Palazzo Costantino, visite da record nell’ultima occasione di apertura al pubblico, si racconta per bocca del suo mecenate a I Love Sicilia. Una collezione che tra le gemme al bavero vive anche di un arazzo magnifico di 5 per 3,5 metri, raffigurante Anania e Safira: Raffaello, declinato alla siciliana, in un racconto che sorprende chi non lo ha mai ascoltato. “La presenza di Raffaello in Sicilia è decisiva dal punto di vista della produzione artistica e dell’impressione fortissima di stile. Allo Spasimo campeggiava una sua tavola originale, replicata nell’Isola in circa venti copie e trasportata nella penisola iberica durante la dominazione spagnola – spiega Bilotti..

La sua influenza ha investito tutto il Rinascimento siciliano. L’arazzo è stato esposto in occasione delle celebrazioni della Cappella Sistina ed è attualmente in mostra in Sicilia: è stato da settembre ai primi di febbraio a Palazzo Abatellis, da lì si è spostato al Castello Ursino di Catania e concluderà il tour espositivo a Palma di Montechiaro Raffaello: Millequattrocento, anzi Millecinque. Citiamo approssimativamente in maniera dissacrante ma non troppo Troisi-Benigni: lei da dove viene? Cosa ci porta? Sì, ma dove va? E qual è il rapporto con la Sicilia? “Sono campano di origine, sono nato a New York, ho studiato a Roma, ho vissuto in Calabria ma da vent’anni Palermo è il mio principale riferimento. Tutti i luoghi che ho citato sono divenuti scenari di importanti musei in collaborazione fra pubblico e privato”. Un mecenate, dunque: la definizione le sta stretta o larga? “Sulla scia delle iniziative familiari, tra passione e concretezza sono nati vari musei dove hanno trovato collocazione permanenti le raccolte della mia famiglia e mie personali, finalmente accessibili a tutti con spirito di condivisione. Nel 2006 abbiamo inaugurato il Museo ‘Carlo Bilotti’ all’Aranciera di Villa Borghese, l’antico Casino dei giochi d’acqua. Tra architetture seicentesche e statue romane colossali, sono esposti i ritratti familiari eseguiti da Andy Warhol, le tele metafisiche di de Chirico, quelle futuriste di Severini. La Collezione Bilotti, che presenta gli stessi artisti del Guggenheim, è caratterizzata da committenze dirette; alcuni cicli sono nati dalla visione imprenditoriale di coniugare arte e comunicazione, così Carlo Bilotti da presidente di Pierre Cardin aveva commissionato a Warhol quadri con i fiori Mimosa e ylang ylang, dalle cui essenze si ricavano i profumi femminili Pierre Cardin, concependo un nuovo linguaggio creativo per pubblicizzare i prodotti. Nel 1983 in Campidoglio, nella sala Orazi e Curiazi, abbiamo esposto la serie dei Warhol verso de Chirico. Altre commesse dirette a Lichtenstein: Twombly, Kiefer e Niki de Saint Phalle, tra le quali la bottiglia per la cosmesi con serpente a due teste e molte coloratissime sculture. Ancora Warhol con Double Elvis, la serie delle orchidee, delle scarpe e dei Camouflage lunghi ognuno più di 10 metri”. Piano, per favore. Non abbiamo finito? “No, affatto. Sono numerosi i Picasso, Chagall, Mirò, Calder, Clemente, Dalì, De Kooning, Dubuffet, Fontana, Kandinsky, Leger,Mirò, Rauschenberg, Tapies, che abbiamo esposto a rotazione dalle Scuderie del Quirinale nella mostra Artisti della materia 2006 , a Cosenza nel convento Sant’Agostino per Da Picasso a Warhol nel 2005 e le tele di Saville a Palermo alla Gam nel 2006. Nel 2004 abbiamo dato vita al MAB, il Museo all’Aperto a Cosenza, con un articolato itinerario tra le avanguardie, dal cubismo di Severini al futurismo di Balla, dalla metafisica di de Chirico al surrealismo di Dalì. Nel 2011 nasce il Museo ‘Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona’ nelcastello di Rende, le cui vicende storiche sono ricordate da Dante. Ho istituito il Museo della ceramica di Calabria a Rende. E ancora, Casa delle Culture, con le donazioni mie e di Irene Telesio. Basta così? “Abbiamo portato il futurista Umberto Boccioni nella Galleria nazionale della (sua) Calabria. Marinetti voleva vi fosse esposta la scultura più emblematica, Forme uniche nella continuità dello spazio, che è rappresentata sulla moneta da 20 centesimi. Dopo 78 anni sono riuscito a farlo, donando la scultura”. Bello, bellissimo. E Palermo? Un sogno realizzato?  “È proprio la dimensione del sogno a connotare il mio periodo palermitano. Palermo è un sogno bellissimo, un amore a prima vista, forse suggeritomi dalla lettura precoce de Il Gattopardo. Qui tutto mi ha attirato: storia arte architettura e bellezza, qui ho sentito forte l’identità spagnola e normanna dei miei avi. Quando venni a Palermo per la prima volta mi colpì subito che così tante dimore fossero chiuse e meraviglie come i palazzi Valdina e Geraci, sul Cassaro, ancora ridotti a macerie belliche. A distanza di 22 anni traccio il bilancio, che non è fatto di numeri e tabelle, ma di percorsi accidentati, attese, infiniti tentativi di sopravvivere a una burocrazia asfittica ed asfissiante”. Torniamo alle cose belle: Palermo e i palazzi rinati. “Sì. Palazzo Oneto di Sperlinga, l’antica dimora dei Siragusa Valdaura narrata anche da Sciascia. Passato ai genovesi Oneto, che lo ricoprirono di apparati barocchi, stucchi di Procopio Serpotta e affreschi di Gaspare Serenario. Ancora cantiere l’ho inserito nei percorsi di Manifesta con la colossale installazione di Massimo Bartolini Caudu e Fridu, una gabbia- prigione di luminarie spente tipiche delle feste siciliane, con un neon che ricalca un graffito dello Steri, sede dell’Inquisizione; Palazzo di Napoli ai Quattro canti, le cui facciate culminano con lo stemma aragonese. I quattro pali rossi in campo d’oro inquartati con l’aquila sveva, a seguito del matrimonio di Pietro d’Aragona il Grande, protagonista dei Vespri, e Costanza di Svevia, dai quali discendo. I simboli aragonesi e svevi divengono emblemi della Regione come i colori”. Ci descrive il progetto? “Il primo progetto ha riguardato l’accorpamento del Palazzo Di Napoli al confinante Costantino, dopo aver ricongiunto le pluriproprietà nelle quali era frazionato e riuscendo a restituire la distribuzione spaziale unitaria come concepita dal Marvuglia e la scenica fuga dei saloni. Ho rintracciato porte, sopraporte, camini pensati per il palazzo che erano finiti sul mercato antiquario fiorentino mentre il pavimento maiolicato barocco con la Nascita di Venere era stato venduto all’asta a Parigi nel marzo 1997 all’Hotel George V. Ma purtroppo…”. Cosa? “Il progetto di albergo-museo si è infranto sui tempi delle procedure amministrative. Ho cercato dunque di musealizzarlo offrendolo in concessione alla Regione. Con il fermento apportato da Manifesta 2018 si schiudeva una nuova opportunità, di portare il Maxxi a Palermo ai Quattro canti. Giovanna Melandri, presidente della  Fondazione, lo aveva inserito nel generale upgrade strategico del museo. Un’altra sfida ha riguardato Palazzo Burgio in via Garibaldi, l’antica Via di Porta di Termini, scenario della grande edificazione barocca. Fatiscente e diroccato, ma sopravvivevano l’eccentrica stanza della scimmia, l’imponente cavallerizza con il colonnato di Billiemi, lo scalone in marmo rosso e l’infilata dei saloni rococò, con stucchi a rocaille”. Altro? “Mi sono imbattuto nella sconsacrata Chiesa del Giglio e nella sua canonica, sulla scia del progetto di mio zio Carlo con Warhol, il cui modello del 1983 è esposto a Pittsburgh nel Warhol Museum. Un luogo d’arte e meditazione in senso laico, spirituale non legato a specifica religione, su modello della Rothko Chapel a Houston e Matisse in Provenza, così abbiamo commissionato a Jenny Saville che, trasferitasi in quegli anni a Palermo, ha realizzato a Palazzo Cutò il trittico The atonement studies. Le condizioni incontrollate del quartiere hanno fatto desistere dal collocare le opere”. I palazzi ma anche i quartieri circostanti, densi anch’essi di storia e, ahinoi, fatiscenza. “Per il Capo avevo coinvolto la Maire Engineering – Immobiliare Fiat per un grande progetto che avrebbe coinvolto tutto il quartiere. Si era ipotizzata, con la partecipazione pubblica, l’acquisizione di quanto era abbandonato da parte del Comune, finanziato dall’immobiliare che avrebbe creato le infrastrutture e restaurato i palazzi. Alla Vucciria avevo addirittura riunificato un isolato costituito da plurifrazionate unità di cinque palazzine semidistrutte: avevo pensato a un ostello tipo svedese. Ma intoppi di tutti i tipi hanno lasciato gli immobili nello stato potenziale”. Da dove arriva questo famelico impegno per il bello?  “Ciò che ho fatto mi è venuto spontaneo. A un gruppo di giovani artisti, ho dato in comodato gratuito un grande appartamento in via Sant’Agostino dove hanno potuto fare la loro residenza, Dimora OZ, un luogo dove esprimersi, creare ed esporre. Ho promosso diverse esposizioni, come le tele di Jenny Saville. Ho esposto e continuo a esporre l’arazzo di Raffaello a celebrazione del cinquecentenario della morte dell’artista. Ho fatto anche diverse donazioni ai musei siciliani”. Quali?  “Nel 2008 alla Gam ho donato due grandi sculture di de Chirico,  Archeologi e Ettore ed Andromeda, poste nella sala dello stenditoio,  e i bronzi di Igor Mitoraj Asclèpios, di Giacomo Manzù Penelope, di Salvador Dalì Omaggio a Newton, di Pablo Picasso Volto in  vetro in collaborazione con Costantini, di Archipengo Donna con fiori, e ancora sculture di Emilio Greco, Pericle Fazzini, Salvatore Fiume, Schifano. Ho donato anche la serie di cinque dipinti di fiori Rotella e un disegno di Damien Hirst a me dedicato, Death is irrelevant, ma anche un nucleo di maestri antichi come Pietro Novelli detto il Monrealese, Leto, Cercone…. Ai due palazzi della ex Provincia, rispettivamente a Palazzo Comitini ho donato i ritratti a olio settecenteschi dei Gravina mentre per lo scalone di Palazzo Sant’Elia le statue marmoree di Maddalena Pallavicino signora delle Egadi, arcipelago poi venduto ai Florio, una statua di Domenico Gagini e un’altra di Ugo, oltre a un arco di  Consagra. Alla Regione ho donato il rilievo parietale con ritratto di Carlo Di Napoli di Ignazio Marabitti, proveniente dall’atrio di palazzo delle Aquile ma restituito nel ‘700 alla famiglia, rimasto per secoli nel palazzo dei Quattro canti e oggi nel museo di Palazzo Ajutamicristo”.

Articolo di Salvatore Ferro per il Giornale I Love magazine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Benedetta Paravia lancia il suo primo NFT dedicato ai leader di Dubai.

Benedetta Paravia lancia il suo primo NFT dedicato ai leader di Dubai.

di Roberto Luongo

In occasione dell’imminente gara di cavalli Dubai World Cup , la celebrity italiana Princess Bee pubblica l’NFT “Winners”, nuovo omaggio al Governatore dì Dubai e a suo figlio.  Dubai – La celebrity Italiana più amata in Medio Oriente Princess Bee (alias Benedetta Paravia) ha pubblicato il suo primo NFT su Open Sea, la piattaforma dove comprare e vendere NFT nel mondo.  L’NFT è stato creato da un’immagine originale scattata da lei stessa durante The Royal Ascot 2016 nella Parade Ring. La bella immagine ritrae il padre vincitore Sheikh Mohammed bin Rashid al Maktoum e suo figlio Sheikh Hamdan mentre guardano la Regina Elisabetta.  L’immagine è stata creata in modo sorprendente elaborando 30 cavalli Godolphin.  “Amo partecipare al Royal Ascot e alla Dubai World Cup. Quest’anno, dato che è l’anno dell’Expo, ho deciso di trasformare una delle foto più belle che ho scattato in NFT per celebrare l’occasione della Coppa del Mondo di Dubai e l’impegno dei leader di Dubai nel rendere l’anno di Expo indimenticabile per tutti noi, nonostante le sfide e le difficoltà di questo momento storico” – ha affermato Princess Bee.  L’NFT è stato quotato 3M di AED e in caso di vendita Princess Bee utilizzerà l’importo per implementare “The Intercultural Project”, un programma educativo che porta avanti dal 2005 a beneficio delle studentesse della Zayed University che vengono selezionate per frequentare corsi speciali in Italia, visitando i meravigliosi siti UNESCO, i musei e incontrando le autorità italiane, con il Patrocinio dell’Ambasciata d’Italia negli Emirati Arabi Uniti.  “Il primo sponsor di The Intercultural Project è stato Sua Altezza lo sceicco Mohammed bin Rashid al Maktoum in persona” – ha affermato Princess Bee – “per questo motivo e per il fatto che ammiro la sua leadership visionaria sarò sempre grata agli Emirati Arabi Uniti”. – ha concluso l’appassionata di Dubai, che lo scorso anno ha ricevuto dal Ministero della Cultura emiratense la lettera di raccomandazione per la Visa d’Oro e a gennaio ha lanciato la canzone “Only Dubai”.

Palazzo Bonaparte a Roma ospita la prima grande mostra di JAGO.

Palazzo Bonaparte a Roma ospita la prima grande mostra di JAGO.

Sergio Ferroni

Amatissimo dal grande pubblico, mito per i giovani e fenomeno social, è l’emblema dell’artista contemporaneo che unisce talento a grande capacità di comunicazione. Amatissimo dal grande pubblico, mito per i giovani e fenomeno social, è l’emblema dell’artista contemporaneo che unisce talento a grande capacità di comunicazione. Arthemisia propone la sua prima mostra antologica, esponendo tutte le opere realizzate fino ad oggi. Palazzo Bonaparte a Roma ospita dal 12 marzo al 3 luglio 2022 la prima grande mostra dedicata a JAGO. Pseudonimo di Jacopo Cardillo, classe 1987, Jago è scultore potente attento agli esempi della nostra tradizione e universalmente noto come “The Social Artist” per le innate capacità comunicative e il grande successo che riscuote sui social. Sicuro talento nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione, Jago arriva direttamente al cuore del pubblico che lo ama, anzi lo adora. Paragonabile in tal senso a una rockstar, trasmette l’amore per l’arte ai giovani: le dirette streaming e le documentazioni foto e video – attraverso le quali coinvolge il suo pubblico sul web – raccontano il processo inventivo di ogni opera e il percorso condiviso consente una diretta partecipazione dei suoi followers al singolo passaggio esecutivo. Nelle sue opere, utilizza anche elementi tragici in un costante gioco di rimandi, con una visione sempre tesa alle tematiche del presente, suscitando provocatoriamente negli spettatori riflessioni sullo status dei nostri tempi.  A Palazzo Bonaparte la genialità di JAGO viene documentata per la prima volta in una mostra che riunisce una serie di opere realizzate fino ad oggi, dai sassi di fiume scolpiti (da Memoria di Sé a Excalibur), fino alle sculture monumentali di più recente realizzazione (come Figlio Velato e Pietà), passando per creazioni meno recenti ma più direttamente mediatiche quali il ritratto di Papa Benedetto XVI (Habemus Hominem).  Curata da Maria Teresa Benedetti, la mostra connota gli elementi chiave di un lavoro continuamente in fieri, capace di costante arricchimento. “ … La mia scultura è lingua viva. Utilizzare una lingua non significa copiarla. Mi riconosco in un linguaggio e lo adotto: sento l’esigenza di realizzare un collegamento con quello che vedo, senza spirito di emulazione. Sono me stesso.” Prima testimonianza è lo scavo sui grandi sassi raccolti nel greto di un fiume alle pendici delle Alpi Apuane, pazientemente scavati nel desiderio di raccontare una storia personale e umana. Pietà e violenza si intrecciano nello sguardo dell’artista. Sorprendente è la scardinante nudità del Pontefice emerito, mentre l’immagine di una Venere (2018), priva della giovanile venustà, sconcerta e induce a riflettere sul valore simbolico della bellezza. D’altro lato incalza un drammatico oggi con la presenza del Figlio Velato (2019), icona simbolica di tragedie senza tempo, cui si connette l’intensa meditazione sul dolore, racchiusa nella desolata monumentalità della Pietà (2021). Ancor prima, l’artista ha proposto un tema svincolato da ogni rapporto con la storia, nel replicare la sequenza del battito cardiaco in Apparato Circolatorio (2017). Palazzo Bonaparte si trasformerà inoltre in uno studio d’artista: durante i mesi di mostra Jago lavorerà alla sua prossima imponente scultura all’interno della sede espositiva. Saranno anche organizzate visite straordinarie alla mostra, guidate dallo stesso Jago. L’esposizione JAGO. The Exhibition è prodotta e organizzata da Arthemisia con la collaborazione di Jago Art Studio.

La Mostra

Emblema dell’artista contemporaneo, che unisce talento creativo e rara abilità comunicativa, Jago afferma di sé: “mi considero un uomo e uno scultore del mio tempo. Utilizzo il marmo come materiale nobile legato alla tradizione ma tratto temi fondamentali dell’epoca in cui vivo. Il legame col mondo è fortissimo. Guardo a ciò che mi circonda, gli do forma e lo condivido.”

Scultore e comunicatore, Jago incarna la complessa figura dell’artista che si affida solo a sé stesso senza mediazioni, assumendosi per intero il compito di dialogare con il mondo. Attraverso le sue opere fornisce al pubblico una lettura personale della storia, risignificandola e utilizzando un materiale nobile come il marmo, appartenente alla tradizione, e procedimenti esecutivi classici (dal disegno al modello, dal bozzetto d’argilla al calco in gesso), insieme all’adozione della figura umana come soggetto prevalente. Un codice e un linguaggio si esprimono nell’asperità di superfici ruvide, lontane dalla levigatezza, dalla lucentezza e dalla grazia di molte sculture del passato, ribadendo l’aspetto contemporaneo di un’inevitabile corrosione del tempo. Nella puntuale ricerca di stimoli sempre nuovi, emerge in Jago un preciso interesse per elementi apparentemente inanimati da valorizzare, tale è il caso del sasso, scarto del processo di cavatura del marmo gettato nel fiume, forma capace di sollecitare emozioni e sviluppi. È il caso dell’opera giovanile La pelle dentro dove la capacità dell’arto di penetrare in maniera veemente all’interno della materia è in grado di enucleare una forma che lo rappresenti. Il lavorio incessante dell’acqua sul sasso diviene metafora dell’intervento creativo e la mano è emblematicamente assunta a strumento principe di ogni possibile realizzazione. È la mano dello scultore, strumento fondamentale per ogni operazione creativa. In Memoria di sé l’immagine di un bambino rispecchia lo scorrere dell’esistenza di un adulto. È un inno alla vita nel modo di unificarne gli aspetti fondamentali attraverso la circolarità delle emozioni. Altrove, come in Excalibur, il sasso è assunto sfrontatamente a contenitore per la rappresentazione del kalašnikov, vistoso strumento della violenza in atto. Un rapporto tra l’aggressività e l’antico ideale cavalleresco citato nel titolo è segno di ironico contrappasso o ampliamento di contenuti ambiguamente presenti. Dagli elementi evidenti in natura Jago passa a entità più scopertamente fisiche e anatomiche. Si allude ad Apparato Circolatorio, rappresentazione iconica del battito cardiaco in ognuna delle sue fasi dedicata a un amico scomparso. Un cuore continua a battere al di là della vita, nel pensiero di chi è stato amato. Ecco un modo di connotare di significati un’operazione nata all’insegna dell’individuazione di meccanismi biologici.  La nudità del pontefice emerito in Habemus Hominem è sigillo di un gesto di radicale spoliazione. Il corpo di Papa Benedetto XVI risulta denudato, il volto sorride con inedita dolcezza, il busto emaciato fa emergere l’umanità creaturale di chi è tornato a essere uomo. Venere è bruscamente sottratta a significati tradizionali, privata di giovinezza e di ogni seduzione estetica, scelta allusiva a valori altri assertori di una diversa verità. Ciò non esclude che l’atteggiamento delle braccia si richiami ancora ad un’antica grazia. Simbolico indizio di sofferenze atemporali è la figura del Figlio Velato, proveniente dalla Cappella dei Bianchi nel napoletano rione Sanità. Il fanciullo che giace inerme su una lastra marmorea racconta di una sorte oscura e drammatica, lo scacco di tanti innocenti che affrontano un cammino ricco di insidie, senza riuscire a toccare un approdo. Allo stesso modo una forte carica evocativa si riscontra nella Pietà, icona simbolica dell’arte di Jago, accolta in Santa Maria in Montesanto a Roma da un pubblico di straordinarie dimensioni. Un uomo desolato sorregge il corpo inanimato di un adolescente, offrendo un’impressione di grandiosità scabra e solenne. Come brusca successione temporale, additiamo la presenza nell’esposizione di un piccolo feto scolpito in marmo (The First Baby), affidato alle cure dell’astronauta Luca Parmitano. Portato nello spazio nel 2019, tornato in Terra l’anno successivo, rappresenta un modo di dilatare la presenza umana verso confini sempre più ampi. Una mostra – per citare la curatrice Maria Teresa Benedetti – nella quale “Si può essere sedotti dai nuovi linguaggi ampiamente adottati nella pratica artistica contemporanea, avvertire l’innegabile appeal della digital life, ma si può anche intuire la necessità di non escludere la storia, custode di valori che arricchiscono il nostro presente, pure così dirompentemente diverso.”

L’Artista

JAGO è un artista italiano che opera nel campo di scultura, grafica e produzione video. Nasce a Frosinone (Italia) nel 1987, dove ha frequentato il liceo artistico e poi l’Accademia di Belle Arti (lasciata nel 2010).  Dal 2016, anno della sua prima mostra personale nella Capitale, ha vissuto e lavorato in Italia, Cina e America. È stato professore ospite alla New York Academy of Art, dove ha tenuto una masterclass e diverse lezioni nel 2018. Ha ottenuto numerosi premi nazionali e internazionali quali: la Medaglia Pontificia (consegnatagli dal cardinale Ravasi in occasione del premio delle Pontificie Accademie nel 2010), il premio Gala de l’Art di Monte Carlo nel 2013, il premio Pio Catel nel 2015, il Premio del pubblico Arte Fiera nel 2017 e ha inoltre ricevuto l’investitura come Mastro della Pietra al Marmo Macc del 2017. All’età di 24 anni, su presentazione di Maria Teresa Benedetti, è stato selezionato da Vittorio Sgarbi per partecipare alla 54a edizione della Biennale di Venezia, esponendo il busto in marmo di Papa Benedetto XVI (2009) che gli è valso la suddetta Medaglia Pontificia. La scultura giovanile è stata poi rielaborata nel 2016, prendendo il nome di Habemus Hominem e divenendo uno dei suoi lavori più noti. L’avvenuta spoliazione del Papa emerito dai suoi paramenti è stata esposta a Roma, nel 2018, presso il Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese, attirando un numero record di visitatori (più di 3.500 durante l’inaugurazione). A seguito di un’esposizione all’Armory Show di Manhattan, JAGO si trasferisce a New York. Qui inizia la realizzazione del Figlio Velato, esposto permanentemente all’interno della Cappella dei Bianchi nella Chiesa di San Severo Fuori le Mura a Napoli. L’opera è ispirata al settecentesco Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, collocato nel Museo Cappella San Severo sempre a Napoli. La ricerca artistica di Jago fonda le sue radici nelle tecniche tradizionali e instaura un rapporto diretto con il pubblico mediante l’utilizzo di video e dei social network, per condividere il processo produttivo. Nel 2019, in occasione della missione Beyond dell’ESA (European Space Agency), JAGO è stato il primo artista ad aver inviato una scultura in marmo sulla Stazione Spaziale Internazionale. Intitolata The First Baby e raffigurante il feto di un neonato, è tornata sulla Terra a febbraio 2020 sotto la custodia del capo missione, Luca Parmitano. Da maggio 2020 Jago risiede a Napoli avendo eletto il suo studio nella Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi. Realizza all’inizio di novembre l’installazione Look Down allora temporaneamente collocata in Piazza del Plebiscito (ora nel deserto di Al Haniyah a Fujairah), mentre il 1 ottobre 2021 installa l’opera Pietà nella Basilica di Santa Maria in Montesanto, in Piazza del Popolo a Roma.