Bulgari, crea per le dive ed aristocrazie

Bulgari, crea per le dive ed aristocrazie

di Antonia Colonna Spada

In via Condotti, da piccolo negozio di argenteria a laboratorio ricercato di alta gioielleria. Il nome di Bulgari, sin dalla nascita, è stato associato a una clientela top, fatta di aristocratici e di star. Da Elizabeth Taylor, alle dive italiane come Sofia Loren e Anna Magnani, ma anche Amber Heard, che all’ultimo Festival del cinema di Venezia ha sfoggiato una bellissima clutch di Bulgari. Qui ripercorriamo tutti i 131 anni della maison tra gioielli, celebrities, aneddoti e piccole curiosità

Bulgari una piccola storia si nasconde un grande successo. E perché questa magia avvenga serve un ingrediente essenziale: un’intuizione. Come quella che ha avuto Sotirio Bulgari, di origine greca, il suo vero nome era Sotirios Boulgaris, che a fine ‘800 trasferisce il suo negozio di argenteria, aperto nel 1884 in Via Sistina a Roma, nella strada della moda, via Condotti. Prima al civico 28, poi, nel 1905, al 10. È in quel momento che pensa di dargli un nome attraente per i clienti inglesi e americani che passavano da Roma: Old Curiosity Shop, l’ispirazione proveniva dal titolo di un romanzo di Charles Dickens.
Per soddisfare le esigenze della sua nuova clientela allarga anche la sua offerta: agli oggetti decorativi in argento si aggiungono gioielli in oro e argento. Quando poi suo figlio, Giorgio, inizia a viaggiare, la gioielleria Bulgari diventa una tappa fissa per chi cerca gioielli ispirati ai trend europei.

Negli anni ’20 la produzione Bulgari si concentra in modo sempre più rilevante sulla gioielleria e si appropria dei canoni estetici dell’Art Decò imprimendo all’estetica di questo movimento una sua particolare e originalissima interpretazione creando gioielli dalle proporzioni importanti in cui comincia ad apparire il taglio cabochon, che diventerà in seguito uno degli elementi distintivi dello stile del marchio.

Furono gli anni ’30 che segnarono un’ulteriore evoluzione nell’estetica della gioielleria Bulgari il cui design, deciso e geometrico, si ispira al mondo delle macchine e all’industrializzazione. Nascono gioielli monocromatici la cui bellezza è espressa dal sontuoso gioco di luci riflesse da diamanti lavorati con tagli diversi: brillante, baguette, rotondo, marquise.
Sempre di questi anni è la produzione di alcuni gioielli detti “convertibili”, ovvero creazioni che inserite su apposite montature potevano dividersi in elementi più piccoli ed essere indossati indipendentemente. Uno straordinario esemplare è rappresentato da una collana in platino e diamanti del 1938 che si divide in vari elementi e che possono essere indossati come due bracciali, due clip di forma allungata da abito e due clip piccole mentre l’elemento della chiusura, invece può essere usato come spilla sull’apposita montatura e il pendente centrale poteva essere montato su un bracciale rigido in oro.

Nasce l’anello “Trombino”, una grande pietra preziosa montata su un pavé di diamanti, e innalzata come su un trono. Il nome deriva dalla somiglianza del design di questa linea alla bocca di una tromba e fu uno dei modelli Bulgari di maggior successo e durata.
La versione in diamanti fu donata da Giorgio Bulgari a Leonilde Guilenetti, sua futura moglie come anello di fidanzamento nel 1932.

Gli anni ’40 e ’50 – la celebrazione della creatività
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale diventa difficile reperire materiali preziosi ma le pesanti restrizioni imposte dal conflitto non impediscono al genio creativo di Bulgari di dar vita a gioielli originali, spesso realizzati con materiali di recupero forniti dagli stessi clienti.
È il momento in cui nasce la maglia Tubogas, metallica, tubolare e molto flessibile. A fine anni ’40 questa maglia viene impiegata per creare il primo orologio a forma di serpente, con il corpo mobile e la testa tempestata di diamanti, a nascondere il quadrante. L’idea è di riprendere un simbolo universale di eternità e saggezza, omaggiato da tutte le civiltà a cominciare da quella greca e romana, culture che costituiscono ancora oggi fonti inesauribili di ispirazione per la creatività di Bulgari.

Nel corso degli anni, il serpente diverrà uno dei più importanti e universalmente apprezzati simboli della gioielleria e dell’orologeria di Bulgari tanto che nel 1968, la famosissima caporedattrice di Vogue Usa, Diana Vreeland, scrive un promemoria per la realizzazione dei servizi fotografici moda per il suo team ricordando che “un serpente non dovrebbe mai essere dimenticato, dovrebbe essere ad ogni dito e ad ogni polso”. Da allora le pagine della rivista vengono tempestate dell’alta gioielleria Bulgari, rendendola l’accessorio must dell’elite della moda.

Negli anni ’60 nasce lo stile delle star un design Bulgari che esplode in tutta la sua originalità e creatività e inizia ad acquisire tratti completamente autonomi ed originali che porteranno nel giro di qualche anno alla definizione di quegli elementi distintivi e immediatamente riconoscibili che ancora oggi caratterizzano il marchio.
I gioielli Bulgari iniziano a discostarsi dai predominanti motivi floreali e asimmetrici e a svilupparsi verso le forme strutturate, geometriche, compatte che diverranno il suo più importante carattere distintivo.
È sempre in questi anni che Bulgari inizia ad utilizzare pietre importanti dai contorni smussati e tondeggiati, spesso tagliate a cabochon, che imprimono al gioiello un particolare senso del volume, altro inconfondibile elemento distintivo della gioielleria Bulgari.
Infine anche l’uso del colore, risultato di accostamenti inediti e sorprendenti di pietre colorate preziose e semipreziose, segnerà per sempre e in modo inconfondibile la costruzione di un gioiello Bulgari.
Espressione massima di questo stile è una superba collana a bavaglino con orecchini pendenti coordinati del 1965 realizzata in oro giallo, diamanti di taglio brillante, turchesi, ametiste e smeraldi cabochon, in cui tutti gli elementi ricorrenti dello stile Bulgari di quegli anni sono felicemente impiegati: forme arrotondate, taglio cabochon delle gemme e audaci accostamenti cromatici.

In quei anni sono rappresentati anche dalla collezione “Gemme Nummarie”, un altro esercizio di creatività audace che ben presto diventò uno degli elementi simbolo di Bulgari. Nel trattare le monete antiche come gemme preziose Bulgari ancora una volta, pur mantenendosi all’interno di una tradizione ben consolidata, espresse originalità e modernità infondendo una nuova linfa creativa a questo filone.
Sono gli anni della Dolce Vita e star come Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Ingrid Bergman o Anna Magnani sfoggiano i loro gioielli Bulgari preferiti agli eventi mondani. E Bulgari conquista anche una testimonial d’eccezione: l’attrice Elizabeth Taylor, che sul set del film Cleopatra ama indossare la sua collezione personale di gioielli. In quegli anni la star è legata a Richard Burton, che descrive la passione della diva per la casa di gioielli con battute ironiche del tipo: “L’unica parola di italiano che Elizabeth conosce è Bulgari”.

Finalmente gli anni ’70 che furono anni del gioco delle  sperimentazioni all’insegna di contaminazioni e provocazioni, non solo in conseguenza dei grandi movimenti sociali ma anche delle influenze esotiche, in particolare indiane, alimentate dai viaggi che divennero molto in voga tra le nuove generazioni.
Dimostrando ancora una volta un grandissimo intuito e una straordinaria capacità di cogliere e interpretare le dinamiche del momento, lo stile di Bulgari dà prova di un’inesauribile esuberanza creativa che si traduce non solo in sautoir, lunghe e opulenti collane, di chiara ispirazione indiana, ma anche nella trasformazione di oggetti di uso comune del tutto estranei al mondo della gioielleria – come carte da gioco o il motivo a stelle e strisce della bandiera americana – in creazioni preziose di evidente matrice Pop.

«La gioielleria Bulgari diventa il simbolo degli anni ’80. Tutti stanno cercando di copiare il vostro look», disse Andy Warhol in una intervista a Nicola Bulgari. Gli anni ’80 sono teatro di un’altra, importantissima rivoluzione nel mondo della gioielleria, di cui ancora una volta Bulgari fu precursore: la nascita della gioielleria pret-à-porter.
Intuendo un altro profondo cambiamento in atto nella struttura sociale, legato all’emancipazione femminile, Bulgari inizia a creare gioielli modulari, formati dalla ripetizione di elementi ornamentali che si incastrano tra loro in una serie infinita di forme e combinazioni dando vita a delle vere e proprie collezioni. Pur conservando un design ben definito e inconfondibile, questi gioielli modulari presentano caratteristiche di portabilità e versatilità fino ad allora sconosciute.
La gioielleria modulare fu un successo immediato, perché si adattava perfettamente ad una nuova generazione di donne inserite nel mondo degli affari degli anni ’80 che desideravano indossare gioielli in sintonia con il loro ritmo e stile di vita e di lavoro, adatti ad ogni occasione e indossabili in qualunque momento della giornata. Divennero ben presto uno status symbol di successo, un accessorio firmato estremamente desiderabile.

La prima collezione modulare è Parentesi (1982), così chiamata perché l’elemento stilizzato ricorda una parentesi e che diventa ben presto un’icona così come la collezione Spiga, ancora oggi in produzione in cui  viene stilizzata la modularità naturalmente presente nella spiga del grano.

Il nuovo millennio
Bulgari segna un’altra svolta nella storia del suo stile e inaugura il duemila con il lancio dell’anello B.zero1, una creazione che ancora oggi rappresenta il suo best seller di tutti i tempi. L’anello B.zero1 ebbe un immediato successo e rappresentò una pietra miliare nel design della maison romana.
Si tratta di un anello dal design deciso, di sapore industriale composto da una fascia cilindrica inserita in due anelli più larghi in cui si fondono due elementi caratteristici dell’iconografia di Bulgari: il Tubogas e il caratteristico logo BVLGARI.
Dallo stile raro e durevole, l’anello si è imposto per quindici anni come un autentico manifesto del design, portatore della ricca tradizione creativa di Bulgari e protagonista di molte interpretazioni.
Il B.zero1 rende inoltre omaggio alla Città Eterna in quanto simbolo del suo ellittico, ininterrotto legame tra passato, presente e futuro, fonte di ispirazione per generazioni di menti creative. In particolare, la maestosa bellezza architettonica di Roma ha nutrito a lungo la sconfinata immaginazione degli artigiani di Bulgari. La forma stessa del B.zero1 non fa eccezione: le sue linee fluide discendono direttamente dall’imponente magnificenza circolare del Colosseo, di Castel Sant’Angelo e del Pantheon, monumenti che hanno segnato il trascorrere dei secoli con grazia e indomabile forza, la cui presenza fisica ispira soggezione a tutt’oggi.

Oggi
L’ultimo grande successo è rappresentato dalla collezione di gioielleria DIVA, che nasce dalla reciproca ammirazione tra Bulgari e le dive del cinema sin dai tempi della Dolce Vita quando le attrici italiane ed internazionali scoprirono il loro amore per il gioielliere italiano.
La collezione Diva, con le sue tonalità ipnotiche e le linee sensuali che alludono alla silhouette femminile, rappresenta l’esaltazione della femminilità italiana. La forma del suo design così identificativa, oltre ad essere radicata nelle origini di Bulgari è profondamente legata alle radici della storia romana poiché per questa collezione la maison ha reinterpretato le tessere del mosaico a ventaglio dei pavimenti, delle pareti e dei soffitti che impreziosivano le Terme di Caracalla, edificate nel 216 d.C.

Giardini Italiani, è l’ultima creazione Bulgari di High Jewellery, una collezione iconica ispirata all’arte del giardino sbocciata nel Rinascimento italiano. Oltre 100 pezzi unici in cui rivivono gli elementi più suggestivi di questa grande arte gli architetti rinascimentali superano la tradizionale imitazione della natura per ridefinirne i contorni, darle una forma e trasformarla in un’opera dell’uomo.

Geometrie degli spazi, sculture vegetali e specchi d’acqua geometrici, ispirano questa collezione in cui Bulgari trova nella natura una grande interlocutrice, per realizzare creazioni di straordinaria bellezza che, grazie alla sapienza dei disegnatori e degli artigiani della maison romana, interpretano gli elementi più suggestivi di questa grande arte.
La sontuosa geometria di siepi e aiuole rivive nella collana Scintillio di cuori, in cui i diamanti di taglio fancy aggiungono un tocco romantico al disegno rinascimentale, e negli orologi del set Geometrie del tempo; lo sfavillio delle fontane, riluce nei due straordinari zaffiri di Concerto d’acque, brilla nei diamanti di Riflessi Magici ed evoca un’immagine di perfetta pienezza con gli oltre 125 carati dello zaffiro di Paradiso d’amore; la poesia intima e vibrante dei fiori, risuona nella botticelliana Incontro di primavera come nella modernissima Giardino segreto; la preziosa leggerezza dei festoni, si dipana lieve tra i sette incredibili zaffiri di Bagliori blu.

Intervista al Presidente del Consiglio Araldico Italiano – Istituto M.se Vittorio Spreti.

Intervista al Presidente del Consiglio Araldico Italiano – Istituto M.se Vittorio Spreti.

Il duca Don Francesco Alfredo Maria Mariano ci parlerà in questa intervista della fondazione del Consiglio Araldico Italiano e del suo corpus di cui fanno parte le scienze sussidiarie della storia.

Inizieremo questo cammino citando una delle tante dichiarazioni del presidente del Consiglio Araldico Italiano – Istituto M.se Vittorio Spreti, il  duca Don Francesco Alfredo Maria Mariano“l’Istituto è consapevole che molte più famiglie si potrebbero annoverare nei nostri archivi, ma l’averle ammesse nella rubrica Nobilitas chi si andrà a realizzare non è stato a pregiudizio del loro merito e della loro nobiltà, e neppure per mancanza di cognizione; una sola penna non può saper tutto e scrivere tutto, tantomeno in una sola pagina. Questasemplice dichiarazione può bastare per rendere appagato chi non avrà luogo in questa serie di più appuntamenti ” .

L’Istituto ha deciso di pubblicare frammenti storici di alcune delle tante famiglie, per cui il gentile lettore vorrà tenere presente il criterio di selezione adottato e considerare lo spazio della pagina che legge. Coloro che sanno di notissime famiglie notabili,  borghesi e nobili di cui non leggeranno in questa rubrica Nobilitas , pur essendo molteplici e rilevanti i segni che esse hanno lasciato nella storia e nell’araldica, non se ne vogliano se l’Istituto ha deciso di non raccontarle poiché, pur riassumendo le loro gesta, alla fine rischierebbe comunque di essere tacciato di superficialità.  La penna dell’Istituto scriverà pertanto con casualità, lontana dall’adulazione, dall’interesse e dall’invidia, e rapporterà parte delle tante nude verità che manoscritti preziosi contengono.  Tutti i dignitari del Consiglio Araldico Italiano nutrono una grande passione per gli studi di filosofia, diritto, letteratura, storia antica, medievale e del secolo scorso , e una maniacale propensione per la genealogia araldica e la nobiltà che se pur nuova ha sempre un particolare profumo, ambiziosi di divenire se non storici, almeno cronisti.

Ora il duca Mariano ci parlerà della fondazione del Consiglio Araldico Italiano e del suo corpus di cui fanno parte le scienze sussidiarie della storia.

Il Consiglio Araldico Italiano fu fondato il 18 novembre 1948 in Torino, antica capitale d’Italia, dal principe Antonio Ferdinando Gravina Cruyllas di Valsavoja, dal conte Alessandro Michele Arnaldi e dal conte Ubaldo Camnasio de Irun y Villaroel, con l’adesione dei gentiluomini conte Vittorio Emanuele Caramelli di Clavesana, conte Giuseppe Maria Ferrero di Roccaferra, conte Attilio Valente di Valbruna e conte Mario Giacomo Brack del Prever.

Essendo venute meno le funzioni della Consulta Araldica del Regno d’Italia a seguito della XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione della repubblica italiana (“ La legge regola la soppressione della Consulta araldica”),  il Consiglio Araldico Italiano si prefisse di perseguire i seguenti scopi:

–  provvedere al controllo della legittimità storica dei titoli di concessione;

–  stabilire la fondatezza degli alberi genealogici;

– eseguire ricerche di natura storico-genealogica;

– raccogliere blasonarî, al fine della tutela del patrimonio storico della nobiltà italiana.

 Nel 1966, la sede fu trasferita a Milano, e, nel 1993, Don Francesco Maria Mariano duca d’Otranto ne è divenuto Conservatore, facendo atto di significazione al Ministero della Pubblica Istruzione e al Ministero dell’Interno che l’Istituto  “intende operare quale organismo culturale nella formazione e nella promozione nel senso più ampio legato all’araldica, sfragistica, genealogia, diplomatica, quali materie che necessitano una fondamentale rivitalizzazione”.

Nel 1994, i marchesi Arardo Maria e Renato Maria Spreti – figli del marchese Vittorio Spreti, promotore e direttore dell’Enciclopedia Storico-Nobiliare Italiana – hanno conferito al Consiglio Araldico Italiano il diritto esclusivo di trasporre il testo dell’Enciclopedia Storico-Nobiliare Italiana su banca dati operante su qualsiasi tipo di supporto magnetico.

Il 19 aprile 1995, l’Associazione, d’intesa con i predetti e unici eredi del marchese Vittorio Spreti, ha assunto la denominazione di Consiglio Araldico Italiano – Istituto Marchese Vittorio Spreti.

Nella stessa occasione, ne è divenuto Presidente il duca d’Otranto e la sede è stata fissata definitivamente in Padova.  L’Istituto persegue sin dalla fondazione il fine di coltivare scientificamente gli studî araldici e genealogici, oltre a esercitare la consulenza per la concessione o riconoscimento di titoli, stemmi e predicati nobiliari, anche in sede giurisdizionale e legale, in Italia e all’estero: ciò, per la tutela della storia patria e al fine di ricercare e conservare i valori araldici, nobiliari, genealogici, borghesi e cavallereschi.

Altresì, il Consiglio cura, fra l’altro quanto segue:

  • l’illustrazione di stemmi nobiliari e borghesi nonché la realizzazione di delineo ex novo, con relativa registrazione notarile ( e inserimento nel Grande Armoriale Italiano );
  • gli studî etimologici, con particolare riferimento all’origine etimologica dei cognomi;
  • l’espletamento di pratiche per l’ammissione in ordini cavallereschi e per nuove nobilitazioni, oltre le istanze alla Prefettura per il secondo cognome e le petenze presso le Curie per le annotazioni nobiliari e cavalleresche.;
  • la pubblicazione di opere editoriali di particolare interesse storico e araldico, fra cui il Repertorio Iconografico degli Ordini Cavallereschi e il Grande Armoriale Italiano, &c.;
  • il rilascio di pareri tecnico-araldici pro-veritate, anche al fine di sovrane pretensioni.
  • ogni tipo di indagine negli archivi nazionali, comunali, parrocchiali, e ovunque si ritenga necessario per la maggiore accuratezza delle ricerche genealogiche, storiche e araldiche famigliari a livello azionale e non.

Il Consiglio Araldico Italiano può contare sull’interesse e sull’affetto di oltre 15.000 Assistiti o estimatori che in questi 74 anni hanno potuto avere contezza di quanto richiesto.

Il patrimonio del Consiglio consta di oltre 2.000 volumi nelle materie d’interesse, fra cui alcuni rarissimi; di una banca dati composta da oltre 300.000 stemmi; 160.000 profili di casate; 85.000 etimologie di cognomi; 13.000 alberi genealogici; cinque fondi archivistici, fra cui il fondo Spreti, che conta 120 faldoni.

Parlare di radici, di avi e di passato non è anacronistico, benché in questa nazione se ne sia quasi perduto il gusto, in particolare in questo tempo nel quale ogni ideale viene inesorabilmente travolto in nome di discutibili principi di livellamento sociale. Vicende memorabili, tradizioni culturali e religiose ancora vive dopo molti secoli costituiscono le pietre miliari di un percorso storico e sciale ricco di fermenti che ancora di esse conserva le tracce.

La conoscenza storica, come la cultura tutta, non è mai fine a se stessa, non è mai semplice curiosità, ma ha come fine il miglioramento dell’uomo e dell’umanità; ancor più ciò avviene se certi contributi trovano spazio e considerazione nella società civile, partecipando così al progresso degli individui.

Accogliere favorevolmente la sapienza antica, i suoi costumi, le tradizioni, gli insegnamenti per farne modello ispiratore del presente e del futuro vuol dare forma a quell’ideale di humanitas, che è qualità somma dell’uomo pienamente all’altezza di vivere con decoro e dignità nella società degli uomini contribuendo altresì al suo armonioso sviluppo.

Le distinzioni nobiliari e cavalleresche furono – e fortunatamente sono ancora manifestazione ed espressione di Istituzioni incardinate nella storia, e hanno lasciato tracce indelebili di vicende memorabili oltre che il retaggio di tradizioni culturali e religiose ancor vive pur dopo molti secoli. Non va dimenticato che l’aristocrazia e la cavalleria – in quanto unite alla nobiltà morale – sono state sempre in grado, in ogni epoca, di confermare il proprio ruolo in qualsiasi contesto sociale, quasi come premessa e substrato di ogni importante azione, perché ovunque la loro origine risale a tempi antichissimi ed è legata al progresso civile, politico e religioso della Nazione.

La Cavalleria, nel lontano Medioevo, grazie al contributo moralizzatore della chiesa, divenne una grande forza, un’aristocrazia del valore e della gentilezza, un argine contro i prepotenti, una difesa per la Chiesa nella lotta agli infedeli, il simbolo della fedeltà e dell’onore. Il codice d’onore di ogni cavaliere esaltava la dedizione ai deboli e alle loro necessità contro le ingiustizie dei prepotenti, la difesa dei fanciulli, la protezione degli orfani, delle vedove, la venerazione della donna, la lotta per la tutela dei più nobili ideali della fede …

La Cavalleria, cristianizzata, fu uno dei più grandi trionfi della Chiesa e di ciò furono riprova le grandi crociate, espressione massima dell’ideale cavalleresco. Nel suo fiorire e nel suo splendore la Cavalleria fu un corpo aperto a tutti i nobili e non nobili, tanto più che sin dalle origini era stata improntata al principio che “suprema ragione di eccellenza, fra tutti coloro che ne facevano parte, fosse non la nascita, ma il valore personale.

Lo scopo del nostro Istituto, pertanto, è quello di mantenere viva l’essenza stessa della funzione sociale delle predette Istituzioni, ossia l’Araldica e la Cavalleria, di ricrearne il senso, il significato originario coniugandolo alle istanze dei tempi di oggi per realizzarne l’attualità, il senso  e il valore nonostante lo scorrere del tempo e il mutare delle idee, delle correnti di pensiero e dei costumi.

È pertanto un dovere, una lodevole missione portare conoscenza storica, araldica, genealogica, blasonica, cavalleresca e nobiliare dove alligna l’ignoranza di argomenti così articolati e pregni di significanza.

Ecco perché nella nostra vita di appassionati, seppur modesti, cultori delle scienze sussidiarie della storia, che vanno sotto il nome di araldica e di genealogia, non abbiamo mai voluto sottrarci all’imperativo categorico di impegnare tutti noi stessi e tutta la nostra cognizione entro una costante attività di ricerca della verità secondo metodi scientifici.

Si arriva alla creazione di un albero genealogico con la ricostruzione scientifica del pennone in linea retta della famiglia attraverso la ricerca e la raccolta di tutti i documenti anagrafici, di estimo, fotografici, ecc. relativi agli avi diretti, risalendo da figlio in padre presso le Anagrafi, le Parrocchie, gli Archivi di Stato, gli Archivi Notarili, le Biblioteche, e dove la famiglia abbia lasciato segni di presenza nei secoli.

È doveroso sfatare quel luogo comune che associa erroneamente genealogia a nobiltà, come a dire che solo chi vanta nobiltà può ricostruire il proprio passato! La genealogia, proprio in quanto ricerca scientifica dei propri antenati, porta tutte le famiglie, anche di umili origini, a conoscere gli avi con le loro realtà storiche, culturali e sociali

Nei secoli, le generazioni aumentano come nell’albero i rami, di cui noi siamo quelli verdeggianti: più lontana e provata è la nostra origine, più profonde sono le sue radici e più robusto il suo tronco.

Anche per questi motivi, vogliamo tenere alta la scienza araldica e la genealogia, e ci batteremo affinché esse possano essere non mai neglette né, tanto meno, disprezzate: la scienza, qualsiasi essa sia, può venire disciplinata entro giusti confini e termini ma giammai negata.