di Giuseppe De Pietro

at their home in milano, 2001

Domenico Dolce e Stefano Gabbana: “Scontriamo continuamente, amichevolmente, sulle nostre idee” Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono stati scelti come famiglia di lavoratori 35 anni fa. Insieme, tra alti e bassi, hanno costruito uno storico impero tessile basato sulle loro radici e tradizioni. Abbiamo parlato con loro e abbiamo ritratto la modella Marta Ortiz interpretando le icone della maison italiana per le strade di Madrid. Sembra ieri che io e Domenico abbiamo iniziato. I primi anni sono stati devastanti, in ufficio sette giorni su sette, non uno libero. Abbiamo condiviso un obiettivo e l’entusiasmo che da sempre mettiamo nel nostro lavoro e che ci ha portato qui”, racconta Stefano Gabbana (Milano, 1962) guardando indietro [perché, sì, c’è ancora spazio per qualche festa in questo 2020] i suoi 35 anni d’amore creativo con l’anima gemella Domenico Dolce (Palermo, 1958).

La metà migliore del suo lavoro, un rapporto professionale –come ce ne sono stati pochi nella moda– che rimane forte e più sano che mai, nonostante i tanti disaccordi che, come ogni coppia, hanno dovuto affrontare. La sua storia è nota a tutti: un giorno del 1981 Domenico riesce a rispondere alla chiamata di Stefano chiedendo un lavoro come assistente nello studio del designer Giorgio Correggiari. È entrato, ovviamente. E quattro anni dopo stavano mettendo in scena il loro primo spettacolo come Dolce & Gabbana con una Milano nel suo periodo di massimo splendore come sfondo, assetata di nuove idee. Domenico ha ereditato il gusto per la sartoria dalla sua famiglia e Stefano, che aveva studiato grafica, ha completato il suo mestiere. Un ripieno perfetto non esente da discussioni che, si dice, sono quelle che alla fine portano ai migliori progetti: “Ci piace discutere!”, scherza Stefano. “Ci confrontiamo continuamente, amichevolmente, sulle nostre idee. A me piacciono alcune cose, a lui piacciono altre”. Come nelle migliori famiglie, vai. E il suo non sarebbe stato inferiore. “Ma l’importante è trovare sempre un equilibrio, una soluzione che ci renda felici entrambi. Durante il confinamento abbiamo discusso molto. È normale avere opinioni diverse! Siamo due facce della stessa medaglia”, dice Domenico.

Cosa c’è di più allegro e spensierato delle luminarie in una sera d’estate? Parte da qui, dalle mille luci colorate di una festa italiana, la collezione ‘Light therapy’ di Dolce e Gabbana, che sfila a Milano dopo due edizioni digitali. Ed è una festa, per gli stilisti, tornare a proporre le loro creazioni su una passerella tutta scintillante proprio di luminarie, per dare “un messaggio di allegria e spensieratezza in uscita – raccontano – da questo lungo tormentone”. Ed è un invito a uscire, a divertirsi, anche la collezione per la prossima estate, dove le luci si traducono in ricami di cristalli coloratissimi, che formano ancora motivi di luminarie sugli smoking, i jeans, i blazer, i bomber, i pull e i pantaloni.
Quando stavano disegnando la collezione, un trionfo di broccati, gessati, pizzi, paillettes e pennellate di colore – raccontano gli stilisti – hanno pensato che il lavoro di oggi ricordava loro quello del 2000, quando in opposizione ad anni di minimalismo proposero “una collezione donna massimalista che ebbe un gran successo”.
E ora, per quei giovani nati dopo l’anno 2000, Dolce e Gabbana tornano a proporre “quel momento di ricchezza, apertura ed edonismo” che aveva David Beckham come pioniere e icona dell’edonismo maschile. Allora “si andava nei locali, si usciva, si viveva fuori” ed è l’invito che fanno ai giovani ora: “volevamo far uscire la gente dai social” raccontano, spiegando che “quel che rimarrà del covid è l’isolamento sociale, che porta alla depressione, perché non si ha il coraggio di affrontare la vita, con le sue emozioni”. Il messaggio è: aprirsi! e lo dicono chiaramente le camicie che lasciano vedere il busto “non da playboy, ma proprio con quell’idea lì: apriti, affronta la vita, divertiti”. 

In questo c’è anche il ritorno alla sensualità: “c’è molto testosterone – ammettono – ed è una cosa normale”. E se negli anni 2000, citati nelle T-shirt bianche con la scritta ‘2000 fashion moment’, l’idolo era David Beckham, ora i modelli sono i giocatori della nazionale di calcio azzurra: “belli, giovani e aitanti”. E soprattutto italiani, perché la collezione non è solo “un inno alla vita, all’aggregazione” ma anche all’Italia. Ed ecco le tute sportive tricolore, i completi canottiera e shorts in raso di seta sempre nei toni della bandiera, portati con tanto di corona. A indossare le nuove creazioni, 95 ragazzi, “l’80% italiani e multietnici, uno con la corona è di colore e – raccontano – è italianissimo, è una bella generazione”. Sono giovani che hanno la fluidità nel dna, “non hanno barriere come noi, hanno un modo diverso di essere sicuri di sé, noi abbiamo troppi preconcetti nel giudicare, loro non pensano invece a giustificarsi”. Se per i ragazzi mettersi lo smalto è assolutamente normale, la cronaca racconta che c’è ancora chi viene bullizzato e picchiato per questa scelta.
“Rimaniamo sbigottiti – commentano gli stilisti – che succedano ancora queste cose, l’intolleranza purtroppo è ovunque, noi facevamo queste cose già nel ’94 e all’epoca abbiamo ricevuto insulti e censure per una campagna con un ragazzo con lo smalto”. Ora quei ragazzi fluidi e senza preconcetti sono ovunque, ed è per loro questa collezione, con cui Dolce e Gabbana festeggiano il ritorno live perché “una sfilata digitale è come uno spaghetto congelato e la moda è emozione e condivisione, un modo per stare e – concludono – ricominciare insieme”.