Foto Cover – Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona con il ritratto di Ferdinando d’Aragona

In viaggio dentro le collezioni d’arte e i palazzi storici ristrutturati da Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona, che ha recentemente concesso in esposizione un arazzo di Raffaello in mostra fra Palazzo Abatellis, Castello Ursino di Catania e Palma di Montechiaro.

A macchia d’oro, lucente, prezioso. Dilagante in tutto il centro-sud Italia e in Sicilia, in gran parte sconosciuto ai più e con la voglia di essere scoperto per davvero. Il patrimonio d’arte e architettura che Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona accarezza e svela ogni volta e in qualunque luogo e modo sia possibile, è un enorme museo diffuso, ha in Sicilia e a Palermo in particolare uno dei pilastri fondanti e oggi, dopo aver collezionato, con lo splendido Palazzo Costantino, visite da record nell’ultima occasione di apertura al pubblico, si racconta per bocca del suo mecenate a I Love Sicilia. Una collezione che tra le gemme al bavero vive anche di un arazzo magnifico di 5 per 3,5 metri, raffigurante Anania e Safira: Raffaello, declinato alla siciliana, in un racconto che sorprende chi non lo ha mai ascoltato. “La presenza di Raffaello in Sicilia è decisiva dal punto di vista della produzione artistica e dell’impressione fortissima di stile. Allo Spasimo campeggiava una sua tavola originale, replicata nell’Isola in circa venti copie e trasportata nella penisola iberica durante la dominazione spagnola – spiega Bilotti..

La sua influenza ha investito tutto il Rinascimento siciliano. L’arazzo è stato esposto in occasione delle celebrazioni della Cappella Sistina ed è attualmente in mostra in Sicilia: è stato da settembre ai primi di febbraio a Palazzo Abatellis, da lì si è spostato al Castello Ursino di Catania e concluderà il tour espositivo a Palma di Montechiaro Raffaello: Millequattrocento, anzi Millecinque. Citiamo approssimativamente in maniera dissacrante ma non troppo Troisi-Benigni: lei da dove viene? Cosa ci porta? Sì, ma dove va? E qual è il rapporto con la Sicilia? “Sono campano di origine, sono nato a New York, ho studiato a Roma, ho vissuto in Calabria ma da vent’anni Palermo è il mio principale riferimento. Tutti i luoghi che ho citato sono divenuti scenari di importanti musei in collaborazione fra pubblico e privato”. Un mecenate, dunque: la definizione le sta stretta o larga? “Sulla scia delle iniziative familiari, tra passione e concretezza sono nati vari musei dove hanno trovato collocazione permanenti le raccolte della mia famiglia e mie personali, finalmente accessibili a tutti con spirito di condivisione. Nel 2006 abbiamo inaugurato il Museo ‘Carlo Bilotti’ all’Aranciera di Villa Borghese, l’antico Casino dei giochi d’acqua. Tra architetture seicentesche e statue romane colossali, sono esposti i ritratti familiari eseguiti da Andy Warhol, le tele metafisiche di de Chirico, quelle futuriste di Severini. La Collezione Bilotti, che presenta gli stessi artisti del Guggenheim, è caratterizzata da committenze dirette; alcuni cicli sono nati dalla visione imprenditoriale di coniugare arte e comunicazione, così Carlo Bilotti da presidente di Pierre Cardin aveva commissionato a Warhol quadri con i fiori Mimosa e ylang ylang, dalle cui essenze si ricavano i profumi femminili Pierre Cardin, concependo un nuovo linguaggio creativo per pubblicizzare i prodotti. Nel 1983 in Campidoglio, nella sala Orazi e Curiazi, abbiamo esposto la serie dei Warhol verso de Chirico. Altre commesse dirette a Lichtenstein: Twombly, Kiefer e Niki de Saint Phalle, tra le quali la bottiglia per la cosmesi con serpente a due teste e molte coloratissime sculture. Ancora Warhol con Double Elvis, la serie delle orchidee, delle scarpe e dei Camouflage lunghi ognuno più di 10 metri”. Piano, per favore. Non abbiamo finito? “No, affatto. Sono numerosi i Picasso, Chagall, Mirò, Calder, Clemente, Dalì, De Kooning, Dubuffet, Fontana, Kandinsky, Leger,Mirò, Rauschenberg, Tapies, che abbiamo esposto a rotazione dalle Scuderie del Quirinale nella mostra Artisti della materia 2006 , a Cosenza nel convento Sant’Agostino per Da Picasso a Warhol nel 2005 e le tele di Saville a Palermo alla Gam nel 2006. Nel 2004 abbiamo dato vita al MAB, il Museo all’Aperto a Cosenza, con un articolato itinerario tra le avanguardie, dal cubismo di Severini al futurismo di Balla, dalla metafisica di de Chirico al surrealismo di Dalì. Nel 2011 nasce il Museo ‘Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona’ nelcastello di Rende, le cui vicende storiche sono ricordate da Dante. Ho istituito il Museo della ceramica di Calabria a Rende. E ancora, Casa delle Culture, con le donazioni mie e di Irene Telesio. Basta così? “Abbiamo portato il futurista Umberto Boccioni nella Galleria nazionale della (sua) Calabria. Marinetti voleva vi fosse esposta la scultura più emblematica, Forme uniche nella continuità dello spazio, che è rappresentata sulla moneta da 20 centesimi. Dopo 78 anni sono riuscito a farlo, donando la scultura”. Bello, bellissimo. E Palermo? Un sogno realizzato?  “È proprio la dimensione del sogno a connotare il mio periodo palermitano. Palermo è un sogno bellissimo, un amore a prima vista, forse suggeritomi dalla lettura precoce de Il Gattopardo. Qui tutto mi ha attirato: storia arte architettura e bellezza, qui ho sentito forte l’identità spagnola e normanna dei miei avi. Quando venni a Palermo per la prima volta mi colpì subito che così tante dimore fossero chiuse e meraviglie come i palazzi Valdina e Geraci, sul Cassaro, ancora ridotti a macerie belliche. A distanza di 22 anni traccio il bilancio, che non è fatto di numeri e tabelle, ma di percorsi accidentati, attese, infiniti tentativi di sopravvivere a una burocrazia asfittica ed asfissiante”. Torniamo alle cose belle: Palermo e i palazzi rinati. “Sì. Palazzo Oneto di Sperlinga, l’antica dimora dei Siragusa Valdaura narrata anche da Sciascia. Passato ai genovesi Oneto, che lo ricoprirono di apparati barocchi, stucchi di Procopio Serpotta e affreschi di Gaspare Serenario. Ancora cantiere l’ho inserito nei percorsi di Manifesta con la colossale installazione di Massimo Bartolini Caudu e Fridu, una gabbia- prigione di luminarie spente tipiche delle feste siciliane, con un neon che ricalca un graffito dello Steri, sede dell’Inquisizione; Palazzo di Napoli ai Quattro canti, le cui facciate culminano con lo stemma aragonese. I quattro pali rossi in campo d’oro inquartati con l’aquila sveva, a seguito del matrimonio di Pietro d’Aragona il Grande, protagonista dei Vespri, e Costanza di Svevia, dai quali discendo. I simboli aragonesi e svevi divengono emblemi della Regione come i colori”. Ci descrive il progetto? “Il primo progetto ha riguardato l’accorpamento del Palazzo Di Napoli al confinante Costantino, dopo aver ricongiunto le pluriproprietà nelle quali era frazionato e riuscendo a restituire la distribuzione spaziale unitaria come concepita dal Marvuglia e la scenica fuga dei saloni. Ho rintracciato porte, sopraporte, camini pensati per il palazzo che erano finiti sul mercato antiquario fiorentino mentre il pavimento maiolicato barocco con la Nascita di Venere era stato venduto all’asta a Parigi nel marzo 1997 all’Hotel George V. Ma purtroppo…”. Cosa? “Il progetto di albergo-museo si è infranto sui tempi delle procedure amministrative. Ho cercato dunque di musealizzarlo offrendolo in concessione alla Regione. Con il fermento apportato da Manifesta 2018 si schiudeva una nuova opportunità, di portare il Maxxi a Palermo ai Quattro canti. Giovanna Melandri, presidente della  Fondazione, lo aveva inserito nel generale upgrade strategico del museo. Un’altra sfida ha riguardato Palazzo Burgio in via Garibaldi, l’antica Via di Porta di Termini, scenario della grande edificazione barocca. Fatiscente e diroccato, ma sopravvivevano l’eccentrica stanza della scimmia, l’imponente cavallerizza con il colonnato di Billiemi, lo scalone in marmo rosso e l’infilata dei saloni rococò, con stucchi a rocaille”. Altro? “Mi sono imbattuto nella sconsacrata Chiesa del Giglio e nella sua canonica, sulla scia del progetto di mio zio Carlo con Warhol, il cui modello del 1983 è esposto a Pittsburgh nel Warhol Museum. Un luogo d’arte e meditazione in senso laico, spirituale non legato a specifica religione, su modello della Rothko Chapel a Houston e Matisse in Provenza, così abbiamo commissionato a Jenny Saville che, trasferitasi in quegli anni a Palermo, ha realizzato a Palazzo Cutò il trittico The atonement studies. Le condizioni incontrollate del quartiere hanno fatto desistere dal collocare le opere”. I palazzi ma anche i quartieri circostanti, densi anch’essi di storia e, ahinoi, fatiscenza. “Per il Capo avevo coinvolto la Maire Engineering – Immobiliare Fiat per un grande progetto che avrebbe coinvolto tutto il quartiere. Si era ipotizzata, con la partecipazione pubblica, l’acquisizione di quanto era abbandonato da parte del Comune, finanziato dall’immobiliare che avrebbe creato le infrastrutture e restaurato i palazzi. Alla Vucciria avevo addirittura riunificato un isolato costituito da plurifrazionate unità di cinque palazzine semidistrutte: avevo pensato a un ostello tipo svedese. Ma intoppi di tutti i tipi hanno lasciato gli immobili nello stato potenziale”. Da dove arriva questo famelico impegno per il bello?  “Ciò che ho fatto mi è venuto spontaneo. A un gruppo di giovani artisti, ho dato in comodato gratuito un grande appartamento in via Sant’Agostino dove hanno potuto fare la loro residenza, Dimora OZ, un luogo dove esprimersi, creare ed esporre. Ho promosso diverse esposizioni, come le tele di Jenny Saville. Ho esposto e continuo a esporre l’arazzo di Raffaello a celebrazione del cinquecentenario della morte dell’artista. Ho fatto anche diverse donazioni ai musei siciliani”. Quali?  “Nel 2008 alla Gam ho donato due grandi sculture di de Chirico,  Archeologi e Ettore ed Andromeda, poste nella sala dello stenditoio,  e i bronzi di Igor Mitoraj Asclèpios, di Giacomo Manzù Penelope, di Salvador Dalì Omaggio a Newton, di Pablo Picasso Volto in  vetro in collaborazione con Costantini, di Archipengo Donna con fiori, e ancora sculture di Emilio Greco, Pericle Fazzini, Salvatore Fiume, Schifano. Ho donato anche la serie di cinque dipinti di fiori Rotella e un disegno di Damien Hirst a me dedicato, Death is irrelevant, ma anche un nucleo di maestri antichi come Pietro Novelli detto il Monrealese, Leto, Cercone…. Ai due palazzi della ex Provincia, rispettivamente a Palazzo Comitini ho donato i ritratti a olio settecenteschi dei Gravina mentre per lo scalone di Palazzo Sant’Elia le statue marmoree di Maddalena Pallavicino signora delle Egadi, arcipelago poi venduto ai Florio, una statua di Domenico Gagini e un’altra di Ugo, oltre a un arco di  Consagra. Alla Regione ho donato il rilievo parietale con ritratto di Carlo Di Napoli di Ignazio Marabitti, proveniente dall’atrio di palazzo delle Aquile ma restituito nel ‘700 alla famiglia, rimasto per secoli nel palazzo dei Quattro canti e oggi nel museo di Palazzo Ajutamicristo”.

Articolo di Salvatore Ferro per il Giornale I Love magazine