Nella moda, si fa spazio una nuova idea di lusso, che al massimalismo di chiassosi loghi e motivi opulenti, predilige sobrietà e artigianalità

di Julieta Sartori

Quest’anno discrezione, ma con qualcosa in più. L’estetica riduzionista che rifugge lo scintillio farlocco e il glamour glitterato. Il registro espressivo sobrio, pacato, eppure deluxe. Nei Novanta era in, nei 2000 un po’ meno, oggi di nuovo in, rivestito di termine ad hoc: quiet luxury. Il lusso sussurrato, che ai loghi cafoni preferisce i materiali di pregio, e al decorativismo kitsch, la manifattura silenziosa ma di qualità. Un neo-minimalismo fatto di semplicità e linee nette, pochi colori feticcio a comporre la tavolozza: beige, cammello, cipria, e immancabili bianco e nero. Triste? Rigoroso? Niente affatto. Il nuovo lusso è l’epitome assoluta del cool: sono le ballerine elastiche di The Row e le borse intrecciate di Bottega Veneta, le giacche strutturate di Khaite e i cappotti avvolgenti di Max Mara. Insomma è il prodotto che vince sul logo e il codice stilistico sul trend passeggero. Perché se ne torna a parlare? Per l’estrema popolarità di alcune maison, e per un intrigo di moda e pop culture che ha riportato in auge il termine “lusso” come sinonimo di tradizione, artigianalità e robustezza.

Succession, acclamata serie HBO disponibile dal 3 aprile su Sky e Now, c’è una scena che è perfetto esempio di pubblicità al contrario. Una maxi shopper Burberry, stampata nell’iconico motivo check, è balzata in cima alle ricerche degli utenti proprio grazie alla serie americana. L’accessorio è oggetto dell’ironia pungente di Tom Wambsgans (l’attore Matthew Macfadyen) che lo etichetta come “mostruoso, gigantesco”, un portatutto XL con cui “campeggiare”, o in cui, addirittura, “ficcare il bottino dopo una rapina in banca”. Il perché della tagliente battuta è presto detto: la tote bag, dal design immediatamente riconducibile alla casa di moda inglese, è pacchiana, la nota stonata nell’ambiente di lusso discreto dei protagonisti della serie, un oggetto poco chic che identifica immediatamente la sua indossatrice come un’intrusa. In Succession, in effetti, a vincere è proprio il quiet luxury, una sequela di completi, camicie, maglioni e t-shirt assolutamente anonimi, non fosse per i nomi delle etichette che portano: Loro Piana, The Row, Max Mara, Gabriela Hearst e Proenza Schouler. Insomma il Gotha del lusso riservato, che ripudia loghi, branding e, appunto, pattern.

The Row, il brand americano delle sorelle Olsen, è parte integrante del guardaroba da udienza di Gwyneth Paltrow. Se bazzicate i social network (e chi non lo fa), è possibile che vi siate imbattuti nei molteplici meme d’ordinanza che nascono come funghi a corredo dei processi delle star hollywoodiane. Al di là degli occhiali da vista aviator che hanno visto l’attrice paragonata al serial killer Jeffrey Dahmer, ciò che colpisce è la processione modaiola super-stilosa, condotta dalla Paltrow a ritmo di less is more. Per difendersi dall’accusa di aver provocato un incidente sulle piste da sci dello Utah, la super star sfodera in tribunale ensemble sobri ma griffatissimi: un capotto dall’accento military firmato The Row così come la camicia a righe indossata sotto al blazer in velluto doppiopetto, anfibi Prada e Celine, e una carrellata di nuance neutre che più neutre non si può, declinate in completi giacca pantalone o cardigan dai bottoni a contrasto. Un défilé di quiet luxuryuna selezione di basici elevati al rango di super-lusso, pur scevri di fronzoli e orpelli.

Pantaloni con la riga e un tank top bianco, di quelli semplici, a costine fini e spalline sottili, mica chissà che. Agganciata alla spalla, una maxi shopper in cuoio intrecciato bordeaux. Look acqua e sapone e via. L’esempio più calzante per raccontare il quiet luxury, per lo meno quello italiano, è questo qui; l’insieme visto sfilare sulla passerella di Bottega Veneta per la Primavera Estate 2023, quello ingannevole dove tutto pare stoffa eppure (quasi) niente lo è. Matthieu Blazy, alla guida creativa della maison dal 2021, sfrutta lo storico savoir-faire del brand nella pelletteria per dei set che nascondono segreti da rivelare solo al tatto. Nessun ricorso a loghi o monogrammi, solo un gioco illusorio e quanto mai sofisticato. Un’apparente normalità che, sottendendo materiali di pregio e artigianalità, si fa cifra stilistica silenziosa eppure immediatamente riconoscibile.

Le paladine del minimalismo di qualità a stelle e strisce sono, invece, Mary-Kate e Ashley Olsen, le sorelle a capo di The Row, che hanno fatto dell’estetica del grado zero il loro distintivo marchio di fabbrica, guadagnandosi negli anni una platea di adepte accomunate dal rifiuto di ogni forma di orpello e decorazione. Bianchi e neri e poi neri e bianchi. Tagli semplici e un tailoring così perfetto da risultare a tratti monacale. Un sottinteso di alta qualità e una sottrazione radicale che è simbolo di un lusso esagerato seppur nascosto. Una dottrina della riduzione nel nome della quale si confezionano abiti destinati a non soggiacere alle regole dei trend e che rendono The Row, tra i marchi più interessanti del panorama extra-europeo.

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Ma al di là di questi due celebri esempi, sono molti i brand, italiani e non, a poter essere inseriti all’interno del drappello dei “lussuosi con garbo”: i già citati Max MaraLoro PianaGabriela Hearst e Proenza Schouler, ma anche Brioni e Brunello CucinelliJil Sander, Peter Do e Khaite. Marchi che compongono un guardaroba classico nel senso più alto del termine; versatile e desiderabile, anche senza un di più.

Perché “il lusso non dimora nella ricchezza e negli ornamenti, ma nell’assenza di volgarità”, sosteneva l’acuta Coco Chanel. Ecco, sulla ricchezza abbiamo qualche dubbio, perché sarà pure “tranquillo” ma sempre lusso è. E da che mondo e mondo, la qualità si paga e anche a caro prezzo. Forse è meglio l’adagio di Irene Brin che riteneva l’abbondanza augurabile solo a qualcuno: a chi sapesse dissimularla.